Pubblicato il 14/01/2016 01:26:04
La notte scende di minuto in minuto per la scala che s’allontana dal giorno. Mamma mi stringe come le tenebre gelide avvolgono Baghdad. Un fischio. Spariscono per sempre i miei vicini. Un altro. L’altalena con cui gioco la domenica si fonde in un incendio tuonante. Aeroplanini di carta sopra di noi che lasciano polvere decidono del domani. Del Nostro domani. Macchine stritolatrici, guidate da uomini-robot, cancellano la campana che avevo disegnato sull’asfalto. Il loro lento e triste ritmo ha il suono della morte. Uomini, irrobustiti dalla Tecnica, ci chiamano a raccolta. Non guardo quegli automi senz’anima ma fisso negli occhi velati, gelidi Omar, un mio compagno di scuola che l’anima l’aveva. Riverso sulla strada sbriciolata ricopre col suo sangue la campana che avevo disegnato. Non capirò mai, Omar, qual’era la tua colpa. Né riesco a vedere, Omar, bandiere di pace dietro questi cieli di fuoco. Non posso comprendere, amico mio, nemmeno le “buone” intenzioni degli uomini-macchina. La culla della vita, Omar, trabocca di morte. La mezzaluna fertile affronta la sua carestia. Solo di una cosa sono certa, Omar: non sarò mai più bambina.
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