IL MATTINO E IL MEZZOGIORNO
Non vi è nulla miei cari
nulla
inutil che aguzzate gli occhi
qui nel mio tempo non trovarete più
la roba o il nido né la donna angelicata o tutta carne
né il mal di vivere o la divina indifferenza
né provvidenza
né grazia né ironia.
Nulla ha più ragion d’esser
se non il sibil del vento
nell’aria di sabbia i minuti sentieri
delle cose animate il silenzio
che piccole pur e incredule
dove la natura divampa cadono
solitarie nei meriggi soli
senza più dell’uomo la presenza.
Lì dove la terra fu regina
or s’accende il mar
dove le grandi montagne s’innalzavano
le roccie son basse tavole di neve
le case del capitalismo
son dei pesci a livelli rifugi
negli hotel le sirene
v’accolgon se bramate in letti d’alghe.
I lupi non gridan più
alla luna
perchè il ciel la piange
nascosta ella è alla terra
dall’ignoto mal che m’accompagna
stavolta per cui nessun di così tanta tempra
fu d’arrestar il passo
lavorar e alzar la schiena.
Io sono il Tempo
il mio male è passar e lasciar che tutto vada
sotto gli occhi che sorvolan fermi
e non mi resta che guardar e sostener anche l’ellissi
nei miei sonni come nel mezzo emistichi
il mio moto è eterno
come infinita è l’ignoranza
nel confessarvi da dov’io provengo.
Nel mio mal dantesco
non invecchio
mentre tutt’intorno muore
e nasce
anche se in quest’eremo purtroppo
da troppo non vi è luce
ed io vivo ancor soltanto
di voi animato dal ricordo.
Ma v’è un bene inconfondibile
penetrante e grande il qual dà gioia
nella guerra sacra celeste e nera
il mal sconfitto giage esploso
morto solo
poichè il ben già da tanto
inciampò con indietro un passo
e la testa china.
IL VESPRO E LA NOTTE
Io sono il Tempo e sorvolo
il mal ch’ignora il male suo
perchè se il ben perisce mai il mal
arriverà per primo
sono il Tempo e sento la colpa lontana
per la cual dannato fui da Foscolo
che la mia intenzion predisse
senza pensar al peso del mio viaggio.
Sopra l’Italia mi trovo adesso
nel cammin dell'arte
vicin il poeta di poc’anzi il qual lui disse
che non è immortal la pietra
né l’uomo in mia senil presenza
eppur i versi di codesto
alla memoria dell’assorto udito mio
son un eterno melodiare.
Ricordo allor con essi
le geste degli eroi
il tremar dei sentimenti
le morti tragiche e i contrasti
la fantasia e la moral
gli endecasillabi e sonetti
i canzonieri di una vita
lo sperimentar e la purezza.
Or accanto v’è il Parini
il qual come me divise il giorno
andava con al lato un giovin nobil
a insegnar i modi
agonici dal risveglio all’ultim sguardo
come il poeta
a braccetto si portava
il suo sorriso.
Certo è che dei sepolcri
rimane poco
arena in cumuli e sartuarie pietre
una lettera o una data
qualche fior o in ciel lontan ondine
ed io spettator che tutto distrugge
non mi resta che sedermi
e pensar al mio destino.
Ecco qualcosa accade:
il flusso sale e non dà pace
e il penetrar della tormenta
come clessidra nella pelle
dalle direzioni tutte viene
dai sepolcri sparsi dei poeti
di qua e di là nei pezzettini
dov’io vidi del mondo intero
consumar nei passi le pietre armate.
...non so quanto
di me poi trascorse
ma vi dico quel che ora
infine vedo
il sole brilla eterno
sopra due ombre
poichè la terza ancor nel ventre
il sonno dorme d’un poeta.
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