Pubblicato il 22/10/2010 12:00:00
Abbiamo già presentato su LaRecherche.it una bella plaquette di Francesco De Girolamo, “Fruscio d’assenza” (Edizioni Gazebo, 2009), una raccolta di Haiku veramente pregevoli. Questa nuova silloge raccoglie testi già pubblicati nelle raccolte: “La lingua degli Angeli” (Edizioni del Leone, 1997), “Nel nome dell’ombra” (Ibiskos, 1998), “La radice e l’ala” (Edizioni del Leone, 2000), oltre a nuove versioni di testi variamente editi dal 2000 al 2007 e inediti composti dal 2002 al 2009. Si profila quindi come un’antologia dell’autore, in cui si evidenzia il filo conduttore dell’opera poetica di Francesco De Girolamo, in quanto i testi, pur provenendo da libri e anni differenti, delineano un percorso coerente di scrittura. “Paradigma” si apre con una bella e significativa poesia dal titolo “Mentite spoglie” (pagina 11): “Quello che vedo non è quello che penso; / quello che dico non è quello che sento; / i miei amici sono i miei nemici; / l’io che non sono ha ucciso l’io che ero. / Portami via con te, portami dentro / il tuo tiepido cielo senza vento. / Tu sola hai la chiave della porta / stretta e segreta, e solo la tua mano / può sollevarmi a stento dall’abisso / voluttuoso del mio nulla in cui cado / inerme ormai da più di mille vite. / […]”. Ebbene, su questa poesia, incipit dell’intera raccolta, sembra accordarsi la sonata di De Girolamo, essa è come la nota dominante, la prima che s’evidenzia all’orecchio, ma che sfuma lasciando alla tonica, rappresentata dalla poesia che dà il titolo alla raccolta, lo spazio delle vibrazioni delle parole. Queste ultime talvolta elaborano veri e propri sistemi planetari in relazione di senso concorde o discorde. Oppure gioco di oscurità e luce che si rincorrono e giocano abbandonando o conquistando spazi e oggetti nel campo tematico della poesia di De Girolamo: vedere e non pensare quello che si vede, dire quello che non si sente, amici che sono anche nemici, l’io che uccide l’io. Ma nei dintorni della “tonica”, rappresentata dalla poesia intitolata “Paradigma” (pagina 39), e dai suoi “satelliti tonali”, questa sorta di schizofrenia è superata, “Ho tra le mani il segno che Ti chiesi / quando avevo perduto sguardo e voce: un raggio e un’ombra tesi su una croce, / e le mani ed i piedi ancora illesi. // […]”, si profila una salvezza, anche se ancora sorretta da una fede un poco vacillante, “[…] // Non ho che Te per riafferrare il tutto / nella Tua concrezione d’apparenza, / in volti e luci che nella Tua assenza hanno sgorgato il sangue senza lutto. // […]”. Nella poesia di De Girolamo v’è lo spazio per la preghiera che in questo libro direi essere proprio il fil rouge: vi sono l’affondare e il riemergere, il dolore, il vuoto, la sofferenza e l’abbandono, ma anche è indicata la possibilità di rivolgersi a un Tu che ha il potere, deus ex machina, reale o immaginato, di far emergere, di redimere, di aprire la porta, “stretta e segreta”, al di là della quale v’è il “tiepido cielo senza vento”, un luogo di serenità tanto agognato. Il Tu della poesia “Mentite spoglie”, sopra riportata in parte, è un tu femminile, ma è certo che questo è un Tu senza sesso che si trasforma, nel corso del libro, in varie figure o contesti. Il variare del Tu a cui l’autore praticamente sempre si rivolge, rendendo la raccolta decisamente dialogica, fa sì che l’autore sembri, come un attore, indossare le vesti di vari personaggi con vari ruoli, ma sempre pervasi da una nota di crisi esistenziale e tragicità, in cerca di redenzione. Una poesia che talvolta pare sfiorare il nichilismo dell’io, quando afferma “Con tutte le mie forze / ho pregato Dio di non esistere, / […]” (“Ultima grazia”, pagina 12), ma che in realtà è poesia che anela alle altezze della perfezione che vede in lontananza, ed è proprio questa visione fa sì che il poeta si renda conto di vivere in un abisso di non senso, “[…] / Tutto ciò che risplende è nulla / […]” (“Rosso d’Oriente”, pagina 14). “Paradigma” è un’opera intensa, significativa, che, a mio avviso, s’innesta molto bene nel filone della poesia mistica, mi sovviene alla mente un San Giovanni della Croce o una Teresa d’Avila, quando vivono e parlano della notte oscura dell’anima: “[…] / Con tutte le mie forze l’ho implorato / di cancellare il suo nome dalla mia anima, / la mia anima dal suo paradiso, le mie lacrime dalla sua croce. / […]” (“Ultima grazia”). Un tormento intimo, uno sbilanciamento esistenziale che si ricompone nella pace interiore di uno sguardo limpido da occhi vergini: “Ad occhi vergini riappare il sole / ogni mattino come un sogno arcano; / e il tempo non offusca lo stupore / acceso da quel grande occhio lontano” (“Ad occhi vergini”, pagina 46). Concludendo, la poesia di De Girolamo mi è parsa interessante anche perché, a tratti, recupera liricità, denotata da un importante uso degli aggettivi e, qua e là, dall’inversione tra nome e aggettivo. Ma è decisamente scrittura moderna che, specialmente negli ultimi componimenti, si snoda snella e fluente, reggendosi su un moderato uso della punteggiatura. Completa l’elegante volumetto una acuta lettura di Giorgio Linguaglossa che sa accostarsi al discorso poetico dell’autore con piglio da Critico autorevole.
« indietro |
stampa |
invia ad un amico »
# 4 commenti: Leggi |
Commenta » |
commenta con il testo a fronte »
|