Le bretelle ai pantaloni, sia quando
ti vestivi da dottore sia quando
mi portavi con te, alto ed imponente,
sulla Jeep, al podere di San Biagio
tra le mie risa chè mi divertivo a
sobbalzare sulle buche ed il fruscio...
dei rami di spine che sbattevano
contro il finestrino e la carrozzeria.
Un bel salto; il casolare, il pozzo e lo
stagno. Ti immmergevi con stivali
alle cosce, avrei voluto tuffarmi,
ma mi davi il compito di disporre il
tubo a terra e spostarlo al ritmo giusto:
circa trenta secondi per germoglio.
Poi mi intrufolavo tra i filari e
raccoglievo zucchine o pomodori,
così grossi e colorati mai più.
Prima del tramonto, qualche nocciola.
Le tre civette sul comò ed intanto
di mattina, riordinavo, con la zia,
l'ambulatorio, sistemando il telo
sul lettino, gli strumenti sul banco.
La Frizzantina nell'acqua a tavola
era solo per te, insoliti francesismi
nei piatti dei menù di casa vostra.
Dicevi che ero la tua fidanzata e
mi toccavi le tettine finquando
ti dissi un bel giorno che ero cresciuta.
Mi portasti al lago di sera, in realtà
era più una sfilata a sfoggiare la
tua Maserati che voglia d'un cono;
te la portò via, un giorno, la Finanza.
Poichè ero la nipote del Dottore
dovevo nascondermi da tutte le
possibili spie se volevo, in paese,
mangiarmi patatine fritte in pace.
Quelli che venivano visitati
da te, un fegato enorme tutti, troppe
schifezze e fritti e carne mangiavano!
A diciotto anni mi ritrovai un tardo
pomeriggio a massaggiarti i piedi, eri
agonizzante nel tuo letto, neri.
Un tumore ai polmoni ti aveva ormai
ridotto tutto gonfio e un dolore,
vicino c'era ancora il vogatore e
una fascia vibrante per snellire.
Mentre io accudivo le tue periferie
vagheggiavi espressioni di sollievo.
Stetti ore in fondo al tuo letto ed il giorno
dopo stetti ore ed ore a recitare il
Rosario, unendo la mia voce a quella di altre,
tante, donne di famiglia e di paese;
era il mio modo per dirti " Grazie per
la deliziosa compagnia; e Buon Viaggio!",
sicura che Dio avrebbe perdonato
tutte le private e pubbliche bugie.
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