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Time

di Lino Bertolas
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Pubblicato il 31/01/2017 16:55:25

TIME
Ci ritrovammo al funerale della madre di Frank. Io, Pietro e Tommy, oltre a Frank naturalmente: la vecchia compagnia del bar Venezia, una delle tante compagnie che aveva frequentato uno dei tanti bar del paese un po' di anni fa (pensare a quanti mi faceva una certa impressione). 

“ Quelli del bar Venezia “ era un modo per identificare quelle date persone e un periodo preciso considerato poi che ognuno di noi aveva preso la sua strada e sviluppato altre conoscenze e altre amicizie.

Ci piaceva sentirci qualche volta per telefono e ancor meglio ritrovarci due,  tre volte l'anno sufficienti a rituffarci nell'atmosfera dei tempi andati.

Non tanto una rimpatriata tipo quel film, “ Il grande freddo “,  non una cosa così seria insomma bensì un happening godereccio dove tra un boccone e l'altro, tra un bicchiere e l'altro andavano in scena battute e aneddoti ormai collaudati, ancora capaci di strappare delle risate schiette.

Era un modo per illuderci che il tempo poteva tornare indietro, riportarci per una sera a quello che eravamo in quell'età, senza crederci fino in fondo, un po' per scherzo, solo così l'incantesimo funzionava.

E ora eravamo ancora insieme ma per una circostanza piuttosto diversa.

Già, la madre di Frank. Me la ricordo benissimo.

Una donnina piccola e gentile.

Ti faceva entrare in casa con un'aria quasi intimidita.

- Francesco? Adesso lo chiamo - e nella sua voce avvertivi la lusinga e la soddifazione per il fatto che gli amici venissero a cercare il suo figliolo, l'unico uomo di casa dopo che il padre era morto già da parecchio.

C'erano anche due sorelle ma loro erano più grandi, le vedevi e non le vedevi.

E finché aspettavi che Frank scendesse dalla sua camera, la madre andava avanti nelle proprie occupazioni, unica regina di un salotto–laboratorio pieno di stoffe fruscianti che passavano dal taglio sicuro delle forbici all'azione precisa e paziente di una macchina da cucire.

L'altra cosa che mi ricordo era la musica incessante di sottofondo, una musica d'altri tempi.

Un registratore piuttosto consumato, con intorno custodie di audiocassette, dal quale uscivano canzoni mai sentite, canzoni del dopoguerra, sapevo, per l'idea vaga che potevo avere di quel periodo, con orchestrine di fisarmoniche e violini e coretti di voci femminili che cantavano di amori perduti, poi ritrovati e ancora perduti.

La voce del prete mi distolse dai ricordi.

In chiesa c'era abbastanza gente considerato il periodo estivo in cui ci trovavamo.

Pietro e Tommy erano vicini a me, nello stesso bancone.

La cerimonia scivolò via come altre a cui avevo assistito. La predica, un barcamenarsi tra un veloce e misericordioso ritratto della defunta e un richiamo al destino comune di tutti gli umani verso quella riva che spesso fingiamo di ignorare.

L'avviarsi verso il gran finale con la benedizione del prete, il canto struggente del saluto e gli uomini in nero che alzano la bara e la portano verso l'uscita. Prima che ciò avvenisse ci fu una strana esitazione del celebrante, un improvviso ondeggiare tra le prime file. Capii subito il perché. 

Frank era davanti al microfono. La sua voce prima incerta, poi via via più salda. - Scusate ... prima di andare,  volevo dire un mio ricordo personale ...

Molti di voi sono passati attraverso il laboratorio di sartoria di mia mamma. Conoscono la sua abitudine di lavorare ascoltando musica. La passione per le canzonette del dopoguerra. Rendono ogni peso più leggero, diceva. Mia mamma però non amava solo quel genere di canzoni, amava tutta la musica.

Quando sentiva dei brani uscire dalla mia camera, ed erano di tutt'altro tipo, ve lo posso assicurare, lei se ne stava lì ad ascoltare e se qualcosa le piaceva, entrava e mi chiedeva informazioni su quel pezzo, chi lo cantava, cosa significava, curiosa di saperne di più.

Ultimamente le piaceva una canzone, forse qualcuno di voi la conosce: “Time” di Tom Waits. Ve ne faccio sentire un pezzetto.

Frank estrasse un piccolo apparecchio da uno zaino che, me ne accorsi solo in quel momento, aveva appoggiato vicino a sé.

Ci fu un breve movimento di teste, di incertezza verso ciò che stava per accadere.

Molti girarono lo sguardo verso il celebrante ma lui stava fisso e immobile ad aspettare il succedersi dei fatti.

La voce rauca e allo stesso tempo dolce di Tom Waits si espanse tra le navate accompagnata da poche note di chitarra e un suono di organetto.

Restai affascinato dalla canzone, era da un po' che non la sentivo.

La mia mente in un flash la ripescò dall'album in cui stava nascosta. Ricordavo bene, era “ Raindogs ”.

Non feci tempo a gustare oltre quelle note. Frank aveva staccato il registratore e la sua voce tornava ad occupare il vuoto della chiesa.

- Come ho detto, a mia mamma piaceva molto questo brano, soprattutto mi chiedeva cosa volesse dire. Le ho risposto che parlava del tempo che passa. Frank cominciò a declamare come se quelle parole fossero rimaste a lungo dentro di lui:

– Non preoccuparti se prima c'era il sole e adesso piove,

se le giornate ti sono scivolate via leggere come ali di farfalla e non riesci più a trovare la polvere d'oro che le faceva volare tra i prati e il sole.

E' il tempo, è il tempo sai, che rende sempre più pesante il tuo camminare nel mondo, non puoi farci niente, è il tempo.

Però se saprai trovare un po' di amore dentro di te, ritornerai a volare nel cielo leggera come un'ala di farfalla e il tempo non potrà farci niente ...

Scusate, era questo che volevo dire.

Un brivido sembrò attraversare tutti i presenti o forse ero io.

Non mi pareva vero che Frank fosse stato capace di dire tutto questo e a voce così calma e sicura. Io non ci sarei riuscito.

Il silenzio generale fu interrotto dal prete che riprendeva la celebrazione prevista come se quel fuori programma fosse stata una cosa che non lo riguardasse.

Di noi del bar Venezia, solo io accompagnai il feretro al cimitero. Pietro e Tommy avevano dovuto scappare verso i loro impegni.

Il resto della cerimonia proseguì com'è di prassi.

Solo quando la cassa venne tumulata vidi gli occhi di Frank inumidirsi di lacrime.

Tutto il suo meraviglioso autocontrollo sembrò per un attimo cedere, ma fu per un attimo.

I convenuti cominciarono a stringersi attorno ai familiari per gli ultimi saluti, poi come tanti rivoli d'acqua si dispersero tra i numerosi vialetti di ghiaia lasciando un'eco mista tra il loro chiacchiericcio sommesso e il rotolio dei sassi sotto le scarpe.

Aspettai che i più se ne fossero andati.

Mi avvicinai a Frank, ora solo. Poco lontano le due sorelle si intrattenevano ancora con alcune conoscenti.

- Ehi, Frank, - dissi - devo andare anch'io. Comunque quel tuo discorso in chiesa,  beh ... - non sapevo più come concludere la frase.

Per fortuna Frank aveva capito cosa intendessi.

Si mordicchiò leggermente il labbro e a voce bassa, guardandosi attorno come a controllare chi ci fosse:

- Sai ... lo dico solo a te. Non è vera quella storia della canzone, perlomeno non come l'ho raccontata io.

Anche le parole ... io non so l'inglese. Non so cosa dica realmente Tom Waits in quella canzone ma mi piace immaginare che dica qualcosa di simile.

Credo che a mia madre sarebbe piaciuto. Credo che a tutti piacerebbe sentire qualcosa del genere al proprio funerale.

Un sorriso cominciò ad increspare le mie labbra.

Guardai Frank. I suoi occhi sembrarono stringersi sotto la luce del sole ma credo che dentro di sé anche lui stesse sorridendo.

Gli afferrai brevemente la mano. – Ci sentiamo, Frank!

– Sì, telefonami tra qualche giorno.

Ascoltavo crocchiare la ghiaia sotto i miei piedi mentre mi allontanavo verso l'uscita.

Mi ritrovai a canticchiare nella mente il ritornello di “ Time “.
- Ho voglia di risentire questa canzone, - dissi tra me - ma non subito, un po' più avanti.

Guardai il cielo azzurro. Il pomeriggio era appena inoltrato. La giornata si profilava lunga.

Avevo tempo. Sì, forse avevo ancora tempo.


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