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Nel Caffè

di Bruno Bartoletti 

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Pubblicato il 28/06/2017 20:12:56

“Credere in altri, credere e lottare

col viso guasto e il freddo sulle mani”

dicesti con un sibilo sottile, stringendo il pugno,

con le labbra rigonfie di saliva e nicotina.

E come un’eco si persero parole

tra il fumo che saliva, tra gli sguardi indifferenti,

in quel caffè fuori porta, in un’ora tarda di maggio.

“Ma fu strada quella d’altri tempi.

Ora si parla a vuoto, forse troppo,

nulla dà maggior potere della menzogna”

dissi fra me e me, dissi a quell’altro, nel silenzio greve

di quell’ora già tarda, lo vedevo di sbieco,

controluce, con una smorfia ferma sopra il labbro.

“È un segno questo lasciatomi in quei giorni”

disse indicando con l’indice sul volto

la cicatrice tagliata sulla guancia,

“allora era diverso, si sapeva, ed era

quello il potere” balbettò soffiando.

 

Ed io che fuggo, non so per quale sorta,

che vedo donne e uomini nel fango

trascinati per forza o per inerzia

arrabattarsi e chiedere del pane

ed altri fermi, chiusi nello spazio

del proprio tornaconto, ognuno solo,

ed altri ancora vendersi per poco,

io che non basto a smuovere l’offesa…

“Chi vuoi che salvi?” chiesi a bruciapelo.

“Quelli, non altri, quelli che han creduto”.

 

Veniva un’onda cupa di basalto, un’onda

bruna dove soffia il vento che fa secche

le querce e rosso il cielo, la tramontana

ci soffiava al fianco, ed era quello il tempo

dell’attesa, il primo tempo quando è verde il grano.

Torse la bocca in una smorfia, torse

le mani ossute. “Oh se qualcosa mai

fosse rimasto! Se qualcosa ancor oggi

fosse vivo!” disse col tono cupo del rimpianto,

disse guardando fisso oltre la soglia.

“Sono gli anni che invecchiano, sono

i tempi, questi, più avari, sono…” e vidi

oltre il suo viso tutto incrinarsi il tempo

delle nostre debolezze, i sogni eterni,

muti, in un trasecolar di foglie, vidi…

Lo so per certo, questo tengo a mente,

la nostra nudità, la nostra fede spenta.


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