Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)
Domani andrò dai miei parenti, dai miei migliori amici, al bosco vecchio, dal pino argentato, dove comincia il ghiaietto e in cima, alla radura del tauro, dalle giovani acacie, con i fiori del cuore tra i capelli e l’agave, non ancora fiorito alle ginocchia.
Farò dono della nostra poesia ai geni, tra i fiori d’agrimonia e l’erba renna. Con la linfa tra le braccia, da lontano il monaco del tempio vecchio mi sentirà arrivare a piccoli passi, con un uovo d’amaranto sulle mani e un acero al suo fianco, dal limite della pineta le tre stelle, e, da dietro, il nevaio. Per le betulle ho preparato un dono speciale con le garze d’acqua colorate, le farò sottili, sottilissime, tra le loro piccole fessure, saranno come occhi per la loro pelle dolce.
Più in fondo ancora, agli uccelli del vento dirò delle nostri voci.
Poi tutti insieme scenderemo giù al laghetto con le nocciole dei nove alberi del Boyne, millemila rondini e tartarughe, per figure, con gli scarabei tra i più lucenti al mondo.
Gli albicocchi dall’Armenia porteranno Kusturica e Bregovic, per cantare l’ederlezi, succhiando caprifogli, versando acqua celestiale di alchimilla, e lungo il sentiero dei castagni, tra i ciliegi, correremo con i cervi tra l’edera rossa e gli scoiattoli.
Piano piano, nel pomeriggio, saliremo al Presepe,
dalle vecchie cicogne, sostenute dolcemente in volo da un acanto e giovani faggi, pieni di gigli intrecciati come corone.
Anche le anime care sul leccio ci attenderanno, immortali. Non so
descriverti l’emozione dei mandorli, nudi, tra le mele cotogne di ogni anno, dirti del melograno, se farà ancora l’amore col nibbio, senza toccarlo, donandoci i chicchi più rossi, o di come l’upupa rinasce sempre di gioia, sopra la mirra, vedendoci sposi.
Ogni capodanno le capre passano di mano in mano il mirto ed ogni rametto fa un canto che sale per i mughetti fin su all’erba gatta, nel ricordo delle api benedette, in volo, sopra i nespoli.
Perfino il noce sorriderà, alle stazioni, quando l’ulivo, tendendoci
le mani, ci bacerà, o quando l’olmo, uno dei mille figli del sonno, fascerà con le ninive i nostri sogni.
Per tutto il tempo le ortiche danzeranno sulle punte, come fuoco, insieme all’orzo, e il papiro farà nell’aria le sue infiorescenze disegnando nel cielo come un vascello, un’arca di luce carica di farfalle, e di pervinca, in fondo alla sera, sopra il grande fiume.
Un platano, un platano che conosco bene, ci leggerà il destino in un sussurro, sotto la quercia che amo, offrendo rododendri ad ogni passante.
Tra il nostro vecchio vento, per ultimo, sotto il tiglio più lontano, seduto sulla panchina delle rose, ritroverò, meraviglioso,
di nuovo e ancora, Rainer,
i suoi fiori di felce negli occhi, avvolti con la verbena nell’uva, e otto sassetti .
Con un respiro indicherà l’abete più alto, dove far seme del dono,
fedele,
tra la neve e le rose, in forma di anello, riunito.
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