IL MITO DI UNUS (ARTISTA TOTALE) di MENOTTI LERRO
La palingenesi platonica dell’Arte.
“Musica l’anima, in versi la parola
Tra gli uomini senza passi se non di danza…”
Oggi possiamo assistere ad un atto nuovo, non previsto: il ritorno del mito attraverso il sogno, un sogno, dalle parole di un illustre poeta e letterato italiano: Menotti Lerro. Le sue parole incantano diffondendosi lievi ma pervasive come un profumo nell’aria, autorevoli e urgenti come un sogno, che sempre è racconto ritmico, musicale e ci parlano di quella soglia fertile e persistente propria del dormiveglia quanto del sognare ad occhi aperti. Un dono sacro che, purtroppo, crescendo molti perdono e che invece uno spirito nobile quanto libero ha preservato nella sua anima donandoci l’immagine antica quanto nuovissima di Unus, figlio di Zeus e di una donna mortale. Un semidio, dunque, che univa in sé tutte le arti divino-umane: pittura, danza, poesia, scultura, musica e che l’invidia umana portò crudelmente alla sua morte e smembramento, dilaniato su una vigna. Da allora tutte le arti gemono, tendendo all’unità perduta.
Cosa vuole ricordare Menotti Lerro con questa immagine-racconto potente che sembra ravvivare l’insegnamento platonico del raccontare evocando e dell’insegnare raccontando? Per me, che amo e studio la mitografica greca, mi basta questo, ed è già molto: il coraggio sapiente di portare alla luce un nuovo mito, apparente ossimoro, e di averlo ricevuto in sogno proprio da Zeus. Mi sembra un atto prezioso e fecondo, quello compiuto dal poeta Lerro. Un atto che per essere colto appieno nella sua sorgiva semplicità necessita altre parole, altre azioni e un nostro muoverci in assimilante evocazione. La dichiarazione di un poeta torna a manifestare in modo inedito e inaudito l’essenza agonica-demiurgica del mito (dal sottoscritto indicata in passato come “mitogonica”), cioè la sua processualità vitale, la propria performatività aionica, incessante, fisicizzante. Menotti Lerro coglie e irradia la contemporaneità continua del mito sia attraverso l’istanza intima del sogno e del sognare, anticamera e araldo del mito stesso, sia nel declinare creativamente l’ancestralità del racconto. Ed ecco il prodigio, già latente e alluso fra le sue parole: il mito, cantato nuovamente, muta e si rinnova come fiorendo e fruttificando da una sorgente aperta da un atto rituale di un adepto-iniziato. Ed ecco allora apparirci la bellezza splendente di Unus, la sua singolarità assoluta così vicina e così sfuggente, la sua armonizzante riconciliatività e lo scenario futuro che ci indica. Sì perché il mito non è tanto un ripiegarsi verso il passato, ma specialmente ci appare, dall’alba dei tempi, quale proiezione vitale e oracolare verso le possibilità future. Da mitografo amo in Unus il suo palpitare fra sogno e reale e ciò che ci fa comprendere del proprio padre: l’aspetto creativo e poietico del titano Zeus. Poiché in verità il mito è anche questo: un cantare senza fine che fa della vita opera e arte e che nel nascondere rivela, nel complicare chiarifica, nell’aggiungere ci indica il ritorno, l’origine come meta: la desiderata unità. Il sogno di Lerro ci aiuta a comprendere i carismi luminosi di Zeus, spesso dimenticati o taciuti: la sua inclusività creativa, come quando inghiotte Metis, ma dalla sua unione viscerale con lei ci restituisce la nuova Athena, sorella di Unus; e Athena sorge dal capo di Zeus aperto dalla scure di Hefesto o di Prometeo. Unus quindi certamente reca in sé il sacro fuoco celeste che anima febbrilmente tutti i titani, e titanico fù il simile smembramento del fratello Dioniso. Ma Menotti Lerro ricantando il mito ci permette di apprezzarne luci nuove: Unus reca serenità, leggiadria e un nuovo equilibrio che non erano presenti né in Dioniso e né in Athena. Percepiamo in Unus una disinvoltura creativa diretta, essenziale, ritmica. Un principio ordinatore e solare che si impone con la dolcezza del sogno, senza violenza, né carenze. A noi l’avvicinarci a questo raro incanto.
Menotti Lerro ha fondato alcuni anni fa il Movimento artistico e letterario “Empatico” ed ecco comparire l’icastica figura di Unus che mi sembra brillare di una potenza catalizzatrice intensamente (e intensivamente) em-patica. Come ricorda il Vangelo di Filippo: la Verità viene a noi vestita in simboli, segni, immagini. Ecco perché Unus appare necessariamente, coevo all’idea primigenia di un’Arte Empatica. A noi, adesso, fare nostra la sua universalità intima, fraterna, necessaria, restando riconoscenti e grati a colui che ha aperto con la scure del proprio logos poietico nuove luci e nuove fenditure nell’etere stellato del Mito.
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