Sa come aprirsi nell'inferno
il canto degli angeli che amiamo
Muove l'aria e cova un fuoco
dal goccio di saliva tra gli spari
risalendo lungo il pozzo un fiato caldo,
oltre le catene dei guardiani
contendenti la conchiglia dei midolli,
per raggiungere la gola e dire ancora
la morte è troppo poco per sparire
l'occhio luminoso dei Shabani
le loro mani bianche danno frutti
srotolando la stoffa delle mummie
con le ali ripiegate del ricordo
ci scambiamo l'avvenire e dai pertugi
apriremo la yurta in fondo al cielo
leggendo sul labiale il nostro nome
come cresce al centro del sentiero
saremo una farfalla dentro il fiume
dal fango per ricominciare
costruiremo nuove scale,
da uno strato di pelle con l'argilla,
per alzare ancora con la penna
lo splendore del grano e in pieno sole
per l'unione delle forze canteremo
un ederlezi come fosse il suo natale.
In memoria di Hashem Shabani, giovane poeta iraniano accusato di "essere in guerra contro Dio"
giustiziato con l'accusa di scrivere in arabo
tradurre i testi farsi in arabo
e di corrompere e sovvertire la religione con i suoi versi.
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