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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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di Antonio Perrone
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Pubblicato il 15/07/2016 12:23:04

Sciocchezze a parte. Il nocciolo della questione è uno, ed è che abbiamo paura, e, sì, lo so che è scontato, ma ciò non cambia il fatto che sia la realtà. È che cerchiamo un rifugio, un riparo, anche lo sputo di un angolo che possa farci star bene, che ci dia anche solo l'illusione di sentirci a casa, qualsiasi cosa questo significhi. È che la vita fa davvero spavento, il mondo è davvero terribile, e di queste due cose ci si accorge sempre troppo tardi.

Cresciamo con la convinzione che ce la faremo, che in ogni caso la spunteremo, sempre, che riusciremo ad averla vinta, e, per carità, non dico che non sia così, solo che sono al massimo due o tre i momenti in cui puoi permetterti di voltarti indietro e pensare che ce l'hai fatta, che sei sopravvissuto, per tutto il resto del tempo si tratta di tenere duro, marciare a nervi tesi e a testa bassa. La vita non si ferma, mai, ed anche questo lo si capisce sempre in ritardo. Qualunque persona, fosse anche la più stupida del mondo (giacché il binomio felicità - ignoranza è un'altra di quelle cose che oggi vanno di moda) risulta sensibile all'argomento, è consapevole come chiunque altro della stancante e incessante frenesia di una turbatio rerum, a cui non riesce a sottrarsi neanche per un attimo.

A conti fatti sono solo due le categorie di persone che sembrano avulse dal tempo; essi sono i malati ed i drogati, senza considerare però che questi ultimi probabilmente lo sono proprio a causa dei motivi sopracitati. O almeno così posso dire di me, che altrimenti non avrei mai potuto scrivere questo libro... che poi, la letteratura, a dirla tutta, non è altro che la raccolta dei sentimenti dei singoli, i quali, prima in potenza, sanno farsi poi in atto universali.

Insomma, eccezion fatta per saggisti, scienziati e professori, uno legge per non sentirsi solo, e la stessa affermazione certo vale anche per chi scrive. Ciò che nel lettore è una sorta di affinità elettiva, nello scrittore si trasforma in empatia, in feeling, ed entrambe le manifestazioni non sono che forme di una sola volontà: quella di essere capiti, la sorprendente e meravigliosa sensazione di sentirsi come gli altri, di sentirsi e immaginarsi -dentro- gli altri. Nella speranza che anche le mie parole conseguano un giorno tal scopo. 


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