Così lei carezzava le piante,
districando ogni sera i capelli
coi palmi aperti
lasciando passare i fili lunghi
tra le dita, nella stanza.
La vedevo ripetendo una canzone,
la canzone del liocorno, tanto fonda
da poterla tacere. Ogni singola mano
è racchiusa in quei versi,
tra la giovane salvia e il cotone,
per dare ancora un nome,
fin nelle pieghe del sottrarsi,
all’oblio materno dell’alba,
e farlo crescere nel regno
di quelli-dai-lunghi-capelli-
Ritornava con le ginocchia bagnate,
e il corpo verde di una parola
“ sia fatta la tua volontà”
usando il respiro
umile,
a terra, nuda.
Tu la chiami penitenza.
Ma, se raccogli senza peso quelle sillabe
seguendo le sue palpebre nel buio
la sentirai piantata tra le zolle
che allatta le sue piante a seni dritti
ed altra acqua, la pupilla,
che risale per le dita con dolcezza
il profilo di qualcuno, fino al viso,
di chi scioglieva i nodi tra i capelli,
in piena luce
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