Ho lavorato con la morte dei tuoi occhi,
la porta stretta di questo mio cercare
il simurgh nel mio cuore
Tre anni e un filo lungo di esercizi
stretti tra le dita, cristallini.
Di tanto ho fatto lunghi i miei capelli
ad ogni anello degli alberi che amo.
Mi sono preparata per sparire dalle stanze
a risalire l’aria verso il buio
per trascinare l’eco della luce
e più di tutto
a muovere il tuo corpo sulla tela
facendo un cerchio lento con le dita,
allora, sento che respiri e stai per dire
qualcosa d’invisibile, una cura.
Come cibo non un’ombra di pensiero
si distende sulla vita con un seme
stordito dalla grazia che traspare
mentre alziamo i fili d’erba dei segreti,
come fossero le teste di bambini
con le bocche socchiuse in armonia
tra una crisalide e la rosa ricomposta
c’è un dono che si sporge dalle labbra,
danzando per minuscole fiammelle
da un punto di paura allo splendore:
afferrami le maniche stanotte,
perché ritorni sempre alla tua festa
la paura negli occhi a fare il gesto
che chiude il forno nero con il fuoco,
scompiglia i miei capelli con la forza,
come un’acqua che nasce dalla spinta,
dal dolore dentro i sassi, mentre sogno.
Mi sveglierà la tua voce nel torace
nel violento calore la freschezza
di una pianta che s'infila nei vestiti
nello scambio del sangue con la luce.
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