- Muta nei dialetti, la camicia,
l’innominabile placenta,
la tua paura, d’Uomo. Sacro
per te è l'orribile,
l'inconoscibile del sesso,
dove vita e morte ci confondono
nel Celeste del bambino.-
Siete venuti spinti dalla palude,
avvolti nel sacco d’acque scure,
inconoscibili, tanto uguali
nella grotta tiepida.
Nati due volte, tu
e l'altro te stesso,
dipinti d'ocra rossa.
Danzando su un filo,
vi ha partorito e stava
come essere il tuo doppio,
spirando nel cordone, nella pancia
ti ha donato il cuore,
tua celeste comunione,
ostia nel mare della vita.
Soffio originale,
poco più di un grano in erba
quando ti hanno svelato l'anima
d'uccello,
la consegna tra le mani: il benandante
che tu sei. Un foro,
numinoso dietro il collo,
che sospende ancora il fiato,
quando senti le chiamate
che ti fanno volare profondissimo,
a combattere gli spiriti
che tengon l'erba bassa,
che non fanno alzare il pane
nelle notti.
"Non gettare la placenta! "
ordinava bisbigliando senza denti
quella zingara nel campo di mia nonna
"lasciala fiorire insieme al mirto,
dove la nughedda ha fatto un buco,
sul fianco della mèndula. Vivrà,
se attraverso vi corre quel bambino
sugli alberi. Lo vedrai salire,
scendere la sera in una foglia,
disegnando un otto sull'erba,
schiarendo negli occhi il riflesso
di una poesia.
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