Pubblicato il 23/05/2016 16:04:25
DENTRO UNA NOTTE DI GENNAIO.
Inverno. Folgaria. Esterno notte. Una donna, in piedi, sola, sta aspettando. Immobile. Il freddo le frusta le guance che tuttavia scottano. Ogni suo muscolo è contratto dall'impotenza, dall'impazienza. Sola davanti a un paesaggio oramai a soqquadro, che la respinge, sebbene beffardamente deserto. Il silenzio assoluto la comprime, accentuando l'irrealtà del suo stato. Se solo si fosse data una direzione, potrebbe imporsi di cambiarla. Sta con la chiave di una stanza d'albergo in mano, impietrita davanti ad un carosello confuso di decisioni urgenti da prendere. Ne va della sopravvivenza, pensa, non si può continuare a respirare il gelo notturno della montagna con gli occhi sbarrati, il cuore triste, triste da impazzire, e il cervello dilatato in inutili interrogativi. In certi momenti non serve nemmeno avere la testa stordita e lo stomaco traboccante di birra: la coscienza è un tiranno da cui ci si libera raramente, e soltanto in circostanze banali. Quando ci si sente davvero vulnerabili, la coscienza - la più spietata consapevolezza - sta proprio lì davanti al nostro sguardo interiore, non consola mai ma pungola, non fa sconti, e ci fa sbattere contro le verità più amare… Vorrebbe lasciarsi andare e piangere, la donna, ma la paura, una paura senza contorni precisi, potente, la tiene paralizzata nell'attesa.
Eppure soltanto poco prima, nella discoteca, si era sentita sicura accanto a lui. Forse non si trattava di amore, ma tuttavia la bella sciata mattutina e la serata trascorsa insieme erano state altrettanto sorprendenti ed appaganti. Una nuova sfida l'aveva restituita alla vita, alla voglia di giocare; con lui molti ostacoli si erano dileguati lungo la strada parola dopo parola; i sorrisi e i baci erano diventati più languidi, anche più goffi nella loro freschezza, e una rinata spontaneità aveva indebolito le barriere. Ma proprio negli istanti di maggiore abbandono e generosità, mentre la leggerezza dell'alcool e della musica la inebriavano, nuvole di temporale si andavano addensando sopra la testa di lei senza una ragione precisa, e senza alcun segnale di preavviso. Continuava dunque a ballare fiduciosa e leggera, lontana anni luce dal sospetto di ciò che stava per accadere, ignara del repentino cambio d'umore di lui che, forse suggestionato da un qualche banale malinteso, stava ora riversando le ombre di un suo vissuto pregresso fatto di fragilità, insicurezze e tormentose ossessioni sulla luminosità degli istanti presenti d'inattesa felicità fino ad oscurarla del tutto. Pertanto, mosso da certezze e paure estemporanee ma tuttavia definitive e inappellabili, e accecato da un'ostilità improvvisa, usando il pretesto di andare in bagno aveva deciso di sparire. Ritirato la giacca al guardaroba. Uscito frettolosamente dal locale. Messo in moto la macchina. Andato via. E lei manco se n'era accorta. Stanca ma tranquilla, aveva continuato ad aspettarlo seduta su un divanetto.
Lo aveva aspettato fino all'orario di chiusura. Poi aveva ispezionato i bagni, temendo che avesse potuto avere un malore. Fu la guardarobiera a riferirle di averlo visto uscire dal locale scuro in volto. Lo aveva allora cercato fuori, fino a rendersi conto che non c'era più l'auto nel parcheggio. “Ma dov'è? E perché?”...“Magari gli passa e torna a prendermi?”...”Magari mi sta attendendo pentito davanti all'albergo?”... “Magari è talmente arrabbiato che sta tornando direttamente in città?”… ”E mi lascia qui? Ma sì. Mi ha lasciato qui: questo è.” Uno sconfinato senso di spiazzamento - che non è altro che l'essenza, la manifestazione suprema dell'assurdità della vita - arrivò come una rapida feroce pugnalata. Colpita ancora una volta alle spalle con tempismo perfetto: succedeva quando lei decideva di fidarsi, di smettere di difendersi per lasciare riemergere l'innocenza che teneva segregata in nascondigli profondi per proteggerla e non darla in pasto ai porci. Innocenza o piuttosto, col senno di poi, colpevole ingenuità... Eccola dunque sola, la donna, alle due di notte, in un posto sconosciuto, mentre gli argini si rompevano e il caos inondava e trascinava via tutto, seppellendo di detriti le povere cose che non aveva saputo salvaguardare. Sapeva che quando tutto questo fosse finito si sarebbe trovata di fronte ad uno scenario desolato e spettrale. Per sempre.
All'uscita dalla discoteca, gruppetti di persone indugiavano ad andarsene. La donna si era chiesta sconcertata se fra quei ragazzi che stavano ridacchiando rilassati e che si atteggiavano per attirare l'attenzione e forse apparire interessanti agli occhi di qualcuno – proprio come lei fino a un'ora prima (o forse si trattava di un secolo fa?) - ci potesse essere qualcuno a cui fosse mai successo, o avrebbe potuto mai succedere, di trovarsi in una situazione così pateticamente ridicola. E di soffrirne così tanto. Ma no, soltanto a lei la realtà riservava sempre quel tipo di docce fredde. Non se le andava forse a cercare? Non era forse solita farsi coinvolgere in storie con uomini ambigui ed irrequieti, certamente poco rassicuranti, però capaci di divertirti, di stupire, di conquistarti con emozionanti sorprese e brividi di romantico pathos? Beh, ora che la sorpresa c'era stata davvero, meglio era congelare al più presto il “pathos” e tornare lucida, agire in fretta prima che quei giovani dileguassero, lasciandola definitivamente sola e smarrita sulla fredda strada deserta in piena notte, e lontana dal suo albergo. Meccanicamente, con fare sbadato, chiese un passaggio. Che le venne concesso, più per divertita curiosità che per altro. Salì sulla vettura con l'indifferente naturalezza di chi non sapeva davvero rendersi conto di ciò che stava accadendo, di ciò che era in procinto di accadere... Del resto faceva troppo male constatare che l'unico appiglio superstite per le sue speranze naufragate, in un mondo che solo un'ora prima era apparso generoso e accattivante, era un veicolo carico di estranei che l'aveva scaricata davanti ad un albergo. In cui lei adesso non è capace di entrare: neppure un portone le riesce di chiudersi alle spalle. Ma perché non impara ad odiare sul serio? Cosa ancora – chi – sta aspettando? Non è forse certa di avere subìto un torto? Perché mai si preoccupa per lui, e si ostina ad offrire possibilità a chi gliele ha negate, a chi l'ha derubata? E ancora: di cosa esattamente crede di doversi sentire in colpa, dal momento che non vuole decidersi ad entrare in camera per riscaldarsi, per chiuderlo definitivamente fuori dall'albergo e dal suo cuore, per dormire e dimenticarlo?... dal momento che lei rimane prigioniera delle congetture, e di una commovente illusione di riconciliazione?
Eccola infine accogliere l'arrivo di lui. Quanto tempo è trascorso? Comunque troppo. E il freddo che sente dentro le ossa è ora diventato l'impalcatura a cui è appesa la sua forza che vacilla. Eccola, dunque, sempre sola, incespicare fra sguardi duri e fragili suppliche. Ora però sanguina delle ferite di lui. Perché gli va incontro? Vorrebbe addirittura essere colpevole per chiedere scusa, per farsi perdonare. Ma non lo è. Manco sa di cosa è accusata: lui per orgoglio non dice, e lei per orgoglio non chiede. Comunque non verrebbe creduta. E infatti non viene creduta. D'altronde entrambi sanno che non è più questione di credere o di essere creduti, è troppo tardi per dubbi e recriminazioni, perché i dolori hanno già scavato nel profondo e la diffidenza reciproca ha bruciato per sempre la spontaneità di ogni nuovo possibile slancio: la bobina non può più essere riavvolta, lo scempio è stato consumato. Occorre ora affrontare le conseguenze, riparare al più presto tutte le falle. Ognuno conta le sue, chiuso nel proprio orgoglio, nella sofferenza, nell'astio. Chiuso in quell'ostinato silenzio che sancisce la fine più di mille parole.
Inverno. Folgaria. Esterno giorno. Ancora sola, la donna, il mattino dopo, mentre il sole la coccola premuroso. Si sente finalmente al sicuro: la sua solitudine - non più assenza - consiste di nuovo nel solito rassicurante inespugnabile vuoto. Sa però di camminare sopra un sottile strato di ghiaccio trasparente.
« indietro |
stampa |
invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi |
Commenta » |
commenta con il testo a fronte »
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Francesca Croci, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.
|