Nella casa del Toro, la quindicesima,
conducevo il bestiame ai falò,
il grande cervo alla sua sposa.
Mi portavi dentro maggio, incandescente,
con le bacche di ginepro e di lillà
nell'orifiamma impuro della chioma,
aprendo il grembo dei colori, penetravi
purificando l’eros, con audacia,
l’amorosa ondata in seno
palpitante di io sono
dove si nasconde un Dio
Se tocco con le ceneri la bocca,
gridando come fiera il desiderio,
così limpida diviene la memoria,
e la voce fiorisce dalla terra
come ruote dorate tra le braccia,
andando più lontano della fede,
sul fiore stesso lei si adagia, e gode,
mangiando il vino più profondo del pensiero,
nutrendo gli occhi. Fino all'allucinazione
il femminile cinge il forte verso l’osso,
sradicando ciò che non è ebbrezza,
per andare al centro della rosa
per introdurti nel ventre di mia madre,
rompendo il guscio al mistero dell'estate.
-Nella casa del pane occorre fame,
come linfa dopo ogni regressione
nell'occulto dell' inverno. Non è forse
il chicco del tuo grano il figlio stesso
di chi lo suda con la forza,
con la fecondità del toro,
disposto ad aprire le sue viscere
Al torrente di Gihon?- Salendo sposi
c'è un sabbat
nella partenza di Beltane
che anticipa l’aurora:
da un’altra altezza si può amare
da qualche parte nel profondo
congiungendo alla passione la purezza
come il corpo della donna, che vibrando
della luce della carne liberata,
copre il Cristo in una stoffa, nuda.
E tutto è nuovamente
senza fare mistero del segreto,
prendiamo ancora il volto che avevamo,
la spinta d'amore, prima di nascere.
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