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Un compleanno

di DanielaToschi
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Pubblicato il 15/05/2016 17:04:32

4 settembre 2009

 

Fu bellissimo quella volta che mio padre, in occasione del suo compleanno, ci portò a visitare un posto cui era stato molto affezionato: una base di ricerca sul pianeta Giove. Non fu così entusiasmante all’inizio. La postazione pareva semiabbandonata, e per quanto spaziosa e confortevole era un pò troppo sobriamente arredata e pareva un tantino decadente. Suppongo che siano tutte cosí quelle basi, che furono costruite in un’epoca fiorente e che ora sopravvivono nell’attesa di un eventuale ritorno di tempi migliori. Ma da lui trapelava la voglia di condividere con noi una parte importante della sua vita che doveva essere stata piena di emozioni e scoperte, di quelle che lasciano un segno perenne. Tutto ciò era contagioso, perciò eravamo pieni di aspettative, divertiti ed eccitati.
La prima cosa che volevamo sapere, naturalmente, era se il pianeta fosse abitato. Non ci aveva detto niente al proposito, e quindi avevamo concluso che non lo fosse. Sarebbe stato troppo bello e inoltre, se vi fossero stati animali o persone, certo ce ne avrebbe parlato.
D’altra parte la sua vita deve essere piena di cose non dette, così, tanto per non dare l’impressione di vantarsi di conoscere cose a noi precluse. Mi sono fatta l’idea che si comporti in questo modo perché non vuole toglierci la gioia della scoperta, e che lui pensi che nella vita ognuno ha il diritto di essere pioniere.
Noi più grandi eravamo convinti che il pianeta fosse deserto ma entrammo nel gioco quando il fratellino più piccolo chiese a nostro padre di vedere i nativi di Giove. Lui, misterioso, gli rispose: “Non so se ce ne sono, vediamo”. Lo prese per mano e lo condusse da un ufficiale in servizio alla base, una donna bionda in divisa che sorrideva silenziosa seduta davanti agli schermi. La donna prese un oggetto di vetro con sottili corde metalliche che poteva ricordare un diapason o una piccola cetra; lo posizionò con cura davanti a sè e vi inserì con lentezza un disco di materiale trasparente. Attendemmo. Si sentì una musica, ma non erano che note di un jazz. Ridemmo tutti, anche lei. Lo strano oggetto aveva captato nient’altro che il segno di una precedente presenza di terrestri sul pianeta. Evidentemente quando la base era più frequentata il personale passava il tempo ascoltando musica di casa. Ma la donna continuava a guardare in silenziosa attesa il congegno e le corde di metallo pronte a captare suoni e vibrare. A un certo punto sentimmo una musica diversa, straordinariamente melodiosa. Pareva prodotta da un solo strumento, probabilmente a corda, del tutto sconosciuto per noi. Non poteva che essere la musica degli abitanti di Giove.
La cosa ci riempì di curiosità. Ci domandavamo se quegli esseri vi fossero ancora. Avevamo compreso infatti che il congegno poteva captare anche suoni di tempi remoti.
Ma non facemmo altre domande a mio padre. Egli ci condusse a visitare i dintorni della postazione e sostammo davanti a un corso d’acqua seminascosto da un alto canneto. Ed ecco che sopraggiunse una piccola imbarcazione che si avvicinò a noi e attraccò alla sponda. L’uomo che ne scese per primo si avvicinò a mio padre e lo salutò con naturalezza, come se si conoscessero da tempo e non fosse sorpreso di rivederlo. Anzi, aveva tutta l’aria di essere informato del suo ritorno. Dopo di lui scese la sua famiglia: la moglie e numerosi figli, di età varia. Erano come i nostri primitivi, eppure avevano forme armoniose e una certa eleganza nel movimento e nei gesti. Non portavano alcun tipo di veste e i loro capelli erano incolti, ma dorati, e quell’oro splendente contrastava col colore della pelle decisamente scuro, anche se non come i nostri neri o mulatti, ma più scuro di quanto potremmo aspettarci da un bianco abbronzato. Mio padre ce li presentò, e disse al nostro fratellino di non spaventarsi: erano amici, e poteva giocare con i bambini più piccoli.
Ciò che più mi sorprese, piacevolmente, degli abitanti di Giove, fu che fossero tutti, invariabilmente, ambidestri.


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