Pubblicato il 10/01/2010 11:34:49
Seduta sul mondo, vuotati i sospiri nel lago infinito dei deboli intenti, riapro i miei pori, e spalanco i battenti. E scorgo tappeti, nei cieli macchiati da foschi presagi, le frange slabbrate di nuvole sparse. Un vento a ponente respira con zelo su foglie nutrite di brina dorata, umettando l’eccesso. Tra i virgulti nascosto, si eleva un lentisco confuso nel rosso dei fitti cespugli, di mirto e di leccio. Sulle dita, particelle di polvere gialla si trasformano in oro di composti di atomi d’acqua, di sale e d’acacia. Una piccola onda sul mare increspato scorre ora leggera sulla riva d’argento, e poi un’altra ancora: un possibile ponte col cielo clemente, si offre al dolore, è una soglia d’invito a chi guarda da terra voltando le spalle a rumore e a miseria. Ma vola un gabbiano che cerca riparo su un nido di quercia e infine è l’istinto che muove i miei piedi verso un posto sicuro: finalmente respiro.
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