Si leva il giorno col buio negli occhi,
come dimentichi di essere potenti,
se il silenzio delle bestie raschia il fondo,
pesi il tuo cuore, e intingi un dito.
Solo il bosco disfa il nero del mio sguardo,
come fosse la pelle di un tamburo,
se ci corro dentro, respirando dai talloni
per rinascere, ostinata, per patirlo
passandoci col cuore, luminoso
il caldo nella bocca si alza in piedi,
a un soffio dal mio Dio,
cantando, si sostiene-
nel reciproco esondare l’uno nell’altro
il mistero della gioia è tutto qui-
un passaggio stretto e angusto,
un momento dello stare doloroso,
se non fosse la presenza di una luce
tra le dita, come un occhio che partecipa,
togliendomi la spina, la più lunga,
con le fattezze di mio figlio quando tace-
so che il vento trasporta le sostanze,
e si conosce appena, fino a che,
con parsimonia,
prende questo corpo senza limiti,
tornando viva nella pancia, nel respiro.
E' là dentro che ti sento a viso aperto,
seduta sopra gli occhi quando soffro,
dare un senso alle mie mani in movimento,
nel passaggio della morte, nuovamente,
con l’inversione dalle pietre all’animale
che si ritrae nella caverna delle luci -
e un soffio chiuso dentro il grembo si prepara
creando i passi una montagna che mi spinge
con le braccia in una frase e s'allontana
poi si sperde in altri corpi a prendere vita,
tanto piccola da non essere spiegabile,
da come accoglie il verde immobile tra i cervi,
come se proprio in questo consistesse vivere:
"la verità è cosa stai facendo,
c’è tepore dove hai procreato."
Il solco della voce scava la radice
rifiorendo l'orizzonte ed il profondo
cercando piano un battito e i capelli
nel continuo ritorno alle stagioni.
E un soffio nella bocca ci alza in piedi,
nel reciproco esondare l'uno nell'altro,
cantando nel mistero ci sostiene,
tanto piccolo da non essere spiegabile.
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