“Insomma, vuoi combinare un ‘affare Moro’ in piccolo…”
(La sede di una delle maggiori imprese edili in città, 11/08/1979)
“Abbiamo un’apertura, Sergio.”
“Spiegati meglio,” rispose tra il serio e lo svogliato l’Onorevole,
al quale questi termini da stratega cinese non piacevano per niente.
“Ho studiato la situazione, per Campice, e non se ne parla proprio di esporci direttamente. Però c’è un piccolo gruppo dell’ultrasinistra che ha appena perso il proprio capo: da quel che sono riuscito a sapere, giudico che uno dei suoi membri sia ricattabile.”
“Un sicario da quell’ambiente? Brillante davvero, come no? Sarebbe così che vorresti togliermi le castagne dal fuoco? Anche se fosse, come la mettiamo con quelli della DIGOS, con quelli dei servizi? Ti sei rincoglionito, o non sai più com’è facile infiltrare un gruppo come quello?” Sergio Valle si era sempre fatto vanto di trovare un punto debole nelle strategie che di volta in volta gli proponeva Marco, il quale gli era decisamente superiore per intuito e capacità.
“Appunto: l’infiltrato era il capo.”
“Dio, che fessi…” (Ecco, altro che punto debole, anche stavolta mi ha fregato: meglio che cominci ad ascoltarlo).
“Senti, uno di loro ha problemi di lavoro, e non solo quelli: posso provarci, anche perché per ora non pare che la Digos ci metterà dentro qualcun altro.”
“Ammesso questo, sei sicuro che sia la gente giusta?”
“Sicuri in queste cose non lo si è mai. Però ho letto i rapporti al riguardo e penso che la cosa si possa fare. Già m’è costata un’ira di dio. Anzi, è a te che tutta questa faccenda costerà parecchio…”
“Mai quanto ci rimetterei se andiamo avanti così e lo lasciamo fare. Per non parlare della faccia che ci perderei nel Partito. Ma pensi davvero che per farlo cagare sotto basteranno quattro molotov?”
“No, non con quattro molotov: con quattro giorni nelle mani di quei cazzoni. E poi, quando ne viene fuori, in un modo o in un altro gli si fa capire che è successo, perché certe cose non le deve fare.”
“Insomma, vuoi combinare un ‘affare Moro’ in piccolo… Potrebbe andare, sì!”
“Potrebbe, sì e tanto non abbiamo molte soluzioni: t’ho detto che direttamente non possiamo muoverci, e t’ho anche detto della mala cosa ne penso. Se qualcosa poi va storto, comunque lui coglie l’antifona. In ogni caso da fuori sembrerà tutto un affare politico, così che dovremmo starcene lontani dai guai.”
Marco conosceva benissimo l’uomo per il quale lavorava ora e per il cui padre aveva lavorato in passato: dopo un lungo silenzio che sembrava aver concluso il discorso, era giunto il momento di insinuare un dubbio.
“A proposito di guai, suoi ma anche nostri: non pensi che in questo modo potremmo finire col fargli un favore? Politicamente, voglio dire: sai la pubblicità che gli può venire da un guaio come questo?”
“Sì, sì, ho capito cosa intendi. Ma non ci sono elezioni in vista e poi, chi lo conosce Campice? Mica è Berlinguer o Andreotti… Dopo un mese, chi vuoi che se ne ricordi? No, no Marco: muoviti e toglimelo dai coglioni.”
Marco uscì dall’ufficio, il passo lungo e deciso, la giacca impeccabile, senza un’occhiata per nessuno: il suo piano aveva già preso forma, e come prima mossa sarebbe bastata una telefonata.
Sergio questa volta non si affacciò alla porta, per seguirlo con lo sguardo. Restò invece a rimuginare se quella mossa fosse giusta o meno, calcolandone a mente costi e benefici. Mentre si convinceva che sì, non c’era altro da fare, si meravigliò che il cicalino dell’interfono non fosse più squillato, muto da almeno un’ora, da prima che iniziasse quel colloquio. Lo prese come un segno di buon auspicio e rivolse la mente altrove.
(tratto dal rromanzo breve "I pesci nel barile",
Vicenza, Ed. Saecula 2013)
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