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di Raffaele Ragone
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Pubblicato il 09/04/2015 09:17:21

Dove ho sepolto l’ùpupa che zigzaga flessuosa
– “hup-hup-hup” – oltre il mirto di Voidokilia,
il vascello affondato nel sale, l’ambra vogliosa,
la cernia che s’intana, la murena che annaspa,
Nestore, l’eremita delle dune di Paliokastro?
Dove ho nascosto la pinna, la ciprea di Scilla,
– “ciac-ciac-ciac” – i molluschi, le spume tra i sassi,
i grani spietati del tempo dispersi tra gli astri,
la macchia a ginepro bruciata, la sapida arsella,
la mano audace sulla spiaggia del Buon Dormire,
dove l’airone impettito che svetta, che grida
– “cra-cra-cra” – tra le canne di Giàlova, e nel cratere
di Perachòra la sua pelle tiepida e salmastra,
la gialla medusa, la vampa che arde ogni cuore,
e sepolti nel cosmo tre tritoni di finto alabastro?
Dove s’è lasciato andare il mio cuore dilaniato
– “tum-tum-tum” – tra foto che non posso guardare
e vesti di porpora, d’ambra, di noce, d’opale,
di pelle lunare, tra lettere scordate al limitare,
dove s’è abbandonato il silenzio trafitto dell’arpa,
tra note accorate e rosari che non oso bruciare
– “shhh-shhh-shhh” – di questo inventario che tace,
troppo sanguigno, troppo ventoso, troppo vivo,
troppo amaro, troppo implacabilmente loquace?

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