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Da Lettera ad un preside. Analisi trasnazionale

Argomento: Sociologia

di Bianca Fasano
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Pubblicato il 09/09/2023 17:56:35

Da: “Lettera ad un preside”, di Bianca Fasano. Cenni di “Analisi Transazionale”. “Ci dicono che noi insegnanti lavoriamo poco, che abbiamo le ferie lunghe e gli orari corti. Già. Ma gli insegnanti che fanno bene il loro lavoro soffrono, si stressano, perdono la voce e giungono a veri collassi nervosi. A noi insegnanti non sfuggono gli allievi soggetti a comportamenti dipendenti; in una classe sono facilmente inquadrabili. Sono quelli che chiedono in continuazione se un lavoro è svolto bene, devono essere costantemente gratificati, ti osservano con le faccine ansiose e non sembrano soddisfatti finché non usi verso di loro più volte un gesto di approvazione, una parola di conforto e incoraggiamento. Ti chiedono sempre qualcosa al punto che, per lavorare con gli altri, finisci per farli restare seduti accanto a te. La dipendenza di solito col tempo scompare, col nascere della sicurezza nelle proprie capacità, ma è certo che negli adulti i comportamenti dipendenti non solo limitano la persona, ma la portano a farsi male e perfino autodistruggersi, sia in forma simbolica sia in modo reale. Stiamo comunque riferendoci a uno stile di comportamento dipendente/attivo, che conduce comunque alla realizzazione di un elaborato. Quelli che in una classe preoccupano di più sono invece i comportamenti passivi, che escludono l’approfondimento razionale di un problema, quindi l’attivazione di tutti gli stati dell’Io nell’obiettivo di una soluzione sana. Primo, non fanno nulla: l’energia psichica è impegnata per inibire le risposte del pensiero. È tipica la risposta di silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, il viso inespressivo. Ne ho avuto un esempio in classe a “Kkkkkk”. (...)La nuova metodica scolastica usa per la comprensione e la cura di alcune patologie di comportamento un metodo che viene usato anche per gli adulti, ossia L’Analisi Transazionale. Si tratta di una tra le varie teorie e pratiche psicoterapeutiche oggi attive che fa capo a una scuola fondata dallo psichiatra Eric Berne (m.1970), negli anni ’50. Il nome deriva dal termine "transazione" che significa "scambio". Berne pose molta attenzione alla natura degli scambi di comunicazione tra le persone (dunque alle "transazioni") quali indicatori di elementi sottostanti e più profondi della personalità. Tra questi elementi inserì gli "stati dell’Io" (l’Io è il nucleo della nostra identità psicologica e in quanto tale ci permette di auto riconoscerci e farci riconoscere) che sono parti tra loro coerenti di quel complesso più vasto che è l’Io. Gli stati dell’Io, secondo Berne, sono tra loro relativamente autonomi e non sempre bene integrati. Nell’ambito scolastico sono usati spesso i "giochi psicologici" e, soprattutto negli adulti, nell’arco più ampio dell’esistenza, il cosiddetto "copione di vita". Il gioco del - “Perché non? Sì, ma…”- evidenzia la presenza di una persona iperprotettiva, insicura, abituata a sentirsi adeguata solo quando “aiuta gli altri”: e che li aiuta anche quando non sono disposti a ricevere tale aiuto. Ovviamente lo chiamo “gioco”, ma è perfido e non sempre l’insegnante si rende conto di esserci caduta dentro. La risposta negativa (anzi, negata), viene dal “giocatore” che evidenzia invece il bisogno di distruggere l’autorità. La prima frase contiene la proposta di soluzione di un problema. Mi ci sono trovata dentro un paio di volte e l’ho spezzato con un: “Va bene, allora non farlo”. Ai buoni propositi dell’insegnante che trova ogni mezzo per risolvere i problemi che impediscono all’allievo di lavorare, questi, con apparente gentilezza, esprime un netto rifiuto introdotto da un apparente, iniziale consenso. Praticamente lo si può giocare all’infinito, ovvero finché l’insegnante, offesa dal rifiuto posto dall’allievo, non mostra la sua rabbia, incontrando il disagio dell’allievo che, comunque, rifiutando l’aiuto ha messo in scacco l’autorità ufficialmente riconosciuta. Il rapporto “simbiotico” posto in luce è quello dell’insegnante che ha bisogno di soddisfare la propria dimensione affettiva attraverso la “soddisfazione” che tenta di far raggiungere al proprio interlocutore. Non c’è “separazione” fra il proprio modo di sentire (il proprio “star bene”) e lo “star bene” dell’altro. Il ragazzo in realtà è anch’egli alle dipendenze della capacità protettiva del proprio insegnante, della sua attenzione, del suo aiuto, pur dimostrando di rifiutarli. La protesta, il rifiuto, la sfida strutturano un legame e stringono un rapporto sempre più dipendente mentre gli danno l’illusione della libertà e della liberazione. Il gioco ha sempre un finale sgradevole e peggiora il rapporto interpersonale. Il gioco del “Perché non? Sì, ma…” ha molte varianti: “Povero me!”, “Indigenza”, “Goffo pasticcione”… In ogni uno dei casi la propria debolezza è usata come arma “offensiva” o “manipolativa” contro i “normali”, i “ricchi”, i “potenti”… Evidentemente colui che mostra la propria incapacità e i propri limiti lo fa allo scopo di indurre gli altri a prendersi cura di lui, che non sa farlo da solo. Nascosto dall’apparenza di debolezza, la forza del giocatore è nella pretesa che ci si occupi di lui con generosità. Ovviamente se questo tipo di giocatore incontra un individuo che non accetta la sofferenza degli altri e non si pone la domanda se i “lamenti” esibiti siano una realtà o un ricatto, vede vittorioso “il perdente”. Essendo dichiaratamente incapace, la persona è liberata dall’assumersi incarichi, dal prendersi responsabilità, dal doversi esporre di fronte agli altri. Nella realtà purtroppo, più volte, s’incontra questa forma di gioco nei mendicanti che esibiscono in ogni modo le loro caratteristiche di miseria, malattia o altro per colpire emotivamente i passanti. Il gioco si realizza nella vita quando queste forme di ricatto trovano accoglienza in persone che non distinguono il bisogno reale da quello esibito ed enfatizzato e nella scuola quando un allievo può avviare un simile gioco e realizzarlo con insegnanti incapaci di distinguere le vere, dalle false e “comode” incapacità. È un gioco che “conviene”, lo dimostra il fatto che la città è piena di questi “giocatori”, di tutti i tipi”.


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