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Le differenze del cuore

di Alexandra Gogoasa
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Pubblicato il 11/03/2016 23:48:26

Essere una normale ragazza di vent’anni non è facile, ma quando la vita ti dona la vista a venticinque anni, essere normali è ancor meno facile. Come lo so? Per la prima volta nella mia vita oggi vedo un foglio a quadretti, per la prima volta vedo la stilografica che muovendosi con movimenti incerti regala al foglio il suo inchiostro blu scuro. Per la prima volta non mi serve toccare il foglio per capire cosa c’è scritto e non ho bisogno di qualcuno che mi guidi nella vita quotidiana. Come sono arrivata a conquistare il senso della vista è una lunga e strana storia che mi ha portata a capire che per le gioie della vita non serviva davvero vedere ma bastava guardare con i sensi che la natura mi aveva donato. 

Sono nata con cinque sensi come tutti gli esseri umani, il tatto, l’olfatto, l’udito, il gusto e il famoso “sesto senso”, quello dell’istinto, del cuore, che ti dice quando amare, quando fidarti e cosa ti rende felice. L’ho sempre considerato superfluo e avrei fatto di tutto per sostituirlo alla vista ma il fato ha voluto che convivessi con il mio sesto senso e imparassi a conoscerlo e sfruttarlo come un superpotere, come fossi una “X-MAN”, per restare in tema sulla mia infanzia.

Fin da piccola amavo ascoltare e toccare, oltre ad essere essenziale per me esplorare con l’udito e il tatto, era diventata quasi una dipendenza. Amavo farmi portare al parco, sentire i rumori dei bambini che giocavano, della natura che viveva, toccare gli alberi, l’erba dopo la pioggia, persino sentire l’asfalto bollente in piena estate era qualcosa di divino.

Quando però arriva l’adolescenza, quello che per anni ti è sembrato bellissimo, ti appare superfluo, senti il dovere di essere uguale agli altri, ciò che ti rendeva diversa ma speciale ora ti rende diversa ma incompleta. Non ho mai avuto molti amici, però quelli che avevo li conoscevo alla perfezione. La mia migliore amica era simpatica e gentile, aveva un cuore grande e ingenuo, sempre pronta a dare consigli e consolare tutti, senza rendersi mai conto di quanto avesse bisogno di essere rassicurata e consigliata. Anche mio fratello era speciale, era un pittore e mentre percepivo il pennello imbevuto di colore sulla tela, gli chiedevo di descrivere il paesaggio pur non capendo a fondo il significato delle sue parole. Lo sentivo parlare di fiori rossi, cavalli arancioni e cieli ghiacciati ma quando toccavo la tela asciutta, sentivo solo il ruvido del foglio macchiato di qualcosa a me incomprensibile. Percepivo sentimenti, sensazioni, scoprivo l’animo umano attraverso il suono della voce, attraverso la presenza che le persone emanavano quando mi erano accanto. Più crescevo e più capivo le piccole differenze tra sentire e ascoltare, vedere e guardare ed ero sicura di poter vedere attraverso il mio sesto senso ma di non poter davvero guardare.

Quando arrivò l’amore, mi travolse come una valanga, come fossi una ragazza di diciassette anni come tante e mi sentii felice a soffrire e piangere per un ragazzo come potevano fare le mie amiche. Lui era un ragazzo che credevo potesse guardare il mondo come io avevo bisogno di fare così ignorai il sesto senso, come fa ogni donna durante la propria vita quando s’innamora, e mi abbandonai a lui. Era dolce, aveva una voce calda e da essa percepivo un sorriso felice, aveva mani forti e cuore grande, così grande forse, da essere vuoto. Spesso incontriamo persone dal cuore grande ma vuoto come il diserto, dove nonostante tenti di scavare, non troverai nulla da mangiare in mezzo alle dune e per quanto tu potrai cercare in quel cuore, non troverai nessuna oasi dove riposare beato. La grandezza di un cuore vuoto è direttamente proporzionale all’ostilità che troverai abitandoci.  L’amore rende ciechi anche chi non vede, l’amore rende cieco il cuore e se a guidarti è qualcuno senza patente allora non potrai che schiantarti ed io ricevetti un mattone in fronte il giorno in cui giustificò la decisione di andarsene dicendo: "Tu sei speciale ma non possiamo uscire più insieme. Non stiamo mai da soli, ma non sei tu il problema, sono io, non amo il tuo cane guida."  non saprei dire se fu più forte l’istinto di scoppiare a ridere o a piangere così non feci nessuna delle due, me ne andai. Vivere significa anche capire l’importanza di chi ti è accanto e se quel qualcuno è fedele e premuroso come solo un animale sa essere, nessun essere umano varrà di più, mai. Da allora acquisii un settimo senso, il mio cane, da cui mi feci guidare anche nelle relazioni, lui sapeva prima di me se chi avevo accanto era un cuore vuoto o un cervello vuoto, perché assicuro a qualsiasi donna che anche se sembra uguale non lo è. I cervelli vuoti oltre a essere tali, non sono grandi come i cuori ma molto piccoli e non mettono insieme i pensieri prima di esternarli agli altri. Lo scoprii attraverso un’amica di cui tutti elogiavano la bellezza e l’intelligenza ma ricordate che essere intelligenti e avere cervello non è sempre sinonimo. La mia amica era molto colta ma la vita l’aveva fatta diventare altrettanto ingenua. Era una ragazza dalla sconfinata fiducia nel genere umano eppure particolarmente timida. Aveva una pelle delicata e mani callose per lo scrivere a penna eccessivo ma percepivo in lei un qualcosa di puro e forte che poteva regalare un giorno al mondo. Non capiva il bisogno essenziale del cane e consigliava spesso che mi operassi. L’idea di possedere la vista in modo artificiale non mi dispiaceva per nulla ma quanto può essere piccolo il cervello di qualcuno che non coglie il rapporto che si forma tra un cane e il suo migliore amico? Jack, era più di un cane, è più di un cane, è stato e sarà mio amico, qualcuno di cui non potrò mai fare a meno.

Tra sfortunati eventi e sfortunati incontri crescevo e capivo che quella con una mancanza non ero io ma il resto del mondo che girava attorno a me senza rendersi conto di quanto fosse poco accorto alle bellezze degli altri e fin troppo ai loro difetti.

Poi un giorno di due anni fa arrivò lui. Lui con cui non avevo bisogno di parlare per sapere che stava arrivando, che non avevo bisogno di toccare per sapere che era accanto a me, non avevo bisogno di chiedermi se vederlo avesse potuto cambiare le cose per capire che sì, le avrebbe cambiate ma solo in meglio. La sua ilarità, la risata calda e profonda, il calore che emanavano le sue mani e il suono assordante del suo cuore furono solo l’assaggio di una vita che avrei condiviso con lui. Lo conobbi per caso, come quando arriva la primavera, sai che deve arrivare, ti prepari ma quando ti accorgi di lei, è già da tanto che è arrivata. Non gli importava se non mi truccavo, se non sapevo cosa significasse avere i capelli marrone o non capivo la differenza tra capelli lunghi e corti, per me era solo una questione di sentire la testa più o meno leggera. A lui importava del mio sorriso che definiva “a diamante” e a me del suo che definivo “al cioccolato” per via del sapore delle sue labbra. M’innamorai di lui attraverso il mio sesto senso, che mi rivelò che ero innamorata, m’indusse a fidarmi e mi consigliò di lasciarmi andare, e farmi amare.

Dopo averlo sposato decisi di aggiungere qualcosa al mio essere speciale e la medicina mi donò la vista e finalmente, concretizzai il mio istinto in immagini. Conobbi i colori, le forme e conobbi quell’aspetto di me che ignoravo ma la vista non si aggiunse al resto, si sostituì a quel dettame del cuore che fino a quel momento avevo seguito e così compresi; gli uomini non mancano di qualcosa, semplicemente ignorano ciò che possiedono affidandosi ai più ovvi e semplici dettami della vita. Preferiscono vedere con gli occhi che guardare col cuore, sentire con le orecchie che ascoltare con l’istinto. 


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