“Per dove si va?” ha chiesto la donna tedesca
col cappello a larghe tese, bizzarra cadenza
e occhi lucidi di rapace - potesse arraffare
queste strade belle porticate
come un sincero palpitare dell’asfalto al sole -
ha fatto un giro su se stessa e messo in moto gli altri:
San Petronio è il grido di battaglia
e la sosta eterna di lunghe peregrinazioni.
Forse anche Odisseo rincasò a San Petronio,
poi Polo e i clerici vagantes, perché
tutti vi fanno ritorno prima o poi, ruvidi dal viaggio,
volenti o meno, a lei o a qualche altro mattone,
la vedono titana e altro non si può che entrare.
Mondo a occhio di bue e cielo
carta velina: non lo dico io ma gli occhi
di un bambino che srotola fantasie
come la corda da limbo sul pavimento
della piazza, e ci fa inciampare tutti,
me ne accorgo dallo stralunare degli occhi
dei passanti. Ci fa vedere che oggi è soleggiato,
poco vento e nell’aria sempre lo stesso mistero,
sempre la stessa carenza di logica narrativa,
con l’illusione di essere cresciuti, di capire
più di ieri e meno di domani, ma a naso è una frottola
del cervello, che a tutti i costi chiama ragione
e invece è buio: lattiginosi fatti che non accadono
se non li veniamo a sapere, e persone semoventi
che potrebbero - a quanto ne so - essere l’ultima
trovata delle nostra industrie.
Va bene così, ho indugiato anche troppo
e Nettuno mi indica con piglio da guardiano:
“la piazza è suolo pubblico e tu la derubi
di troppi pensieri.”.
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