Chissà se le cose possano rimanere le stesse
dopo una parola di troppo
e una confessione arrischiata
marcita per lungo tempo sulla punta della lingua
e finalmente sputata.
Adesso che ci guardiamo
siamo più stranieri l’uno all’altra
e ci fissiamo come a voler pescare un che di familiare
in occhi alieni.
Ma all’amo abbocca poco - qualche alga, forse,
così per caso.
Temporeggiare credendo
che non arriverà mai il momento,
con la pretesa di mettere in pausa
la vita intera, nello spazio di una bella risata
mentre i nostri passi riempiono il portico
e si sindaca su cosa sia rivoluzione,
su cosa sia già stato detto, su cosa manchi all’appello,
su che direzioni prendere
per rispondere all’illusione di distinguerci,
di essere esemplari rari.
Certo tu lo sei per me e forse anche viceversa.
Ma com’è banale il decorso di quest’amore:
adesso non si può, ma chissà se si abbia voglia
di aspettare, di verificare - sai, col tempo -
la tenuta delle nostre promesse.
Forse sei un po’ troppo alto e quando t’abbraccio
non basta che mi sollevi sulle punte.
Forse prendo tutto troppo sul serio
ed è meno divertente di quanto ti aspettavi.
Prima di dormire
mia nonna mi raccontava di Euridice.
“Orfeo si gira al momento sbagliato; sentiva
il profumo delle sue trecce. Tutto per volerla vedere, d’un tratto…”
“No, no!” scalpitavo - che strazio ascoltare.
Sarà, il tempismo, una favola per bambini?
Io esito a voltarmi. Ora che mi guardo,
non sono neppure su una barca: ho l’acqua alla gola.
Però lo sento il tuo profumo. Tutto per volerti vedere.
D’un tratto…
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