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Torino-Palermo (persone lungo i binari)

di Marco Tealdo
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Pubblicato il 05/12/2007

Ho un ricordo remoto della ferrovia: fin da piccolo la nonna Francesca mi portava su un ponte a vedere la corsa del treno. Pur essendo agli inizi degli anni 80 il passaggio del convoglio era per lei – nata nel 1903 - un evento importante perché le riportava alla mente i tempi in cui il figlio macchinista la avvertiva del suo passaggio dal piccolo Magliano Alpi Soprano; paesino perduto nella pianura cuneese, troppo piccolo per consentire una sosta del treno per Savona. Così un colpo di tromba voleva dire “ciao mamma, ti sto pensando”.

Così è iniziato il mio amore per la ferrovia, per le stazioni in genere. Figlio di ferroviere ne ho incontrate molte e sempre in cuore la stessa sensazione: casa!
Accompagnando il papà al lavoro passavo tanto tempo a perdere lo sguardo tra la folla confusa di quei luoghi agitati.
Storie, occhi che passano per un attimo, volti che si incrociano per una volta sola e poi non si trovano più. Tutti mi parevano emozionati, come al loro primo viaggio: forse perché ogni partenza nasconde in sè un’incognita da scoprire poco alla volta.

E poi i binari; quel senso di corsa verso l’infinito mi metteva in cuore il desiderio di percorrerli prima del treno per sapere dove andava a morire la loro corsa. Tutta un’incognita la vita della stazione che mi ha fatto scoprire la passione per l’umanità così variegata e ricca, abbandonata e sofferente, sola, variopinta e bella. Una cattedrale, un mondo dietro le mura: quasi l’anticamera dell’infinito.

Quella volta a partire ero io con in cuore però la stessa voglia di incontrare qualcuno, la stessa speranza di incrociare gli sguardi che mi hanno appassionato fin da piccolo.
Anche per me valeva l’incognita di una partenza … per tutta la vita.
Mentre intravedo la sagoma del treno per Palermo mi scuote una voce. E’ Pasquale. Un ragazzo di circa 30 anni che tenta di vendermi una penna. Un po’ attonito lo guardo negli occhi e anche lui non mi sfugge: forse è sincero e mi racconta di lui, delle sue disavventure per poi propormi l’acquisto di una penna. Si illumina quando infilo la mano nella tasca dei miei Jeans, facendomi largo tra la confusione degli zaini appesi a tracolla, e tiro fuori una vecchia banconota da 5000 Lire.

Un po’ disorientato perdo lo sguardo tra i tabelloni luminosi in attesa della fatidica scritta “Palermo”. Ci pensa Giulio ad interrompere quella ricerca frastornata. Un napoletano sulla quarantina: amichevole, disponibile, accogliente facciamo subito amicizia e inizia a raccontarmi di lui. Nel frattempo ci accorgiamo di dovere prendere lo stesso treno … io, lui e altri 10 suoi amici. Chiassosi, simpatici mi accolgono subito tra loro. Il racconto della sua vita incalza e la sua personalità così variegata e ricca mi affascina anche quando mi racconta che si trovava a Sarno il giorno in cui la valanga ha spezzato vite, distrutto case e seminato angoscia nell’autunno del 1996.

Se la prende con tutti, non risparmia nessuno nel descrivere le conseguenze di quel disastro ma nei suoi occhi leggo voglia di giustizia, di amore mai avuto … sempre agognato e mai trovato.
Lo attira il mio interesse al suo racconto e la domanda in stretto accento napoletano sorge spontanea “ … me lo spieghi che ci va a fare un torinese a Palermo” . “ A cercare lavoro” è la mia risposta più immediata.
Il tempo di sgranare gli occhi e Giulio sobbalza in piedi coi gomiti sdraiati sul poggiatesta del sedile - come per parlare ad una folla oceanica - e si rivolge ai 10 amici che occupano a macchia di leopardo tutta la carrozza: “ vi è mai capitato di incontrare un torinese che va a cercare lavoro a Palermo?” e scoppia una risata rumorosa che mi fa arrossire.
Così desisto e gli racconto la mia storia. “Ho deciso di giocarmi la vita per l’ideale più grande che potessi incontrare. Dio. Per Lui ho lasciato tutto e ho deciso di seguirlo ovunque … prima tappa Palermo, caro Giulio”. Ora ad arrossire è lui e le domande sull’amore, sul segreto per essere felici si susseguono fino all’annuncio dell’altoparlante “ Napoli Centrale” .

Scendiamo entrambi ma la coincidenza per Palermo è già partita. Giulio ormai ha deciso di essermi amico. Mi sarebbe aspettata una notte in stazione e lui mi procura un posto tranquillo dove stare e cerca di convincere il capotreno a farmi prendere un convoglio merci per Palermo pur senza prenotazione. Tutto inutile ma il suo impegno per me era segno che l’amore sempre cercato ora lo stava dando. Salutandoci scorgo alcune lacrime nei suoi occhi. Abbiamo la reciproca certezza che non ci saremmo più incontrati ma quelle ore di viaggio avevano cambiato qualcosa nella vita di tutti e due.

Così mi incammino verso un bar nei pressi della stazione di Napoli. Degrado, sofferenza e dignità nei volti di quei derelitti che vivono in stazione messi in disparte dalla società. E’ forte il richiamo verso ognuno; quasi un andare alla ricerca del tesoro nascosto tra le pieghe del loro volto tumefatto dalla stanchezza, dalla fame, dalla galera.

Compro un panino e una bottiglia d’acqua che i pochi spiccioli che mi ritrovo in tasca mi consentono e decido di consumarli sua una panca attigua al binario n° 3.
La stessa idea pare averla avuta Farouk un uomo distrutto dagli anni della ancora viva guerra in Cecenia. Una cicatrice che attraversa il volto testimonia che la vita non gli ha fatto sconti e la fuga dalla sua terra è stato l’unico modo per potere rimanere vivo.
Raccontando di lui si fa interrompere dalla sensazione che io avessi ancora fame. Così strappa metà del suo panino al salame e me lo porge insieme alla Forst mezza vuota che stava sorseggiando per cacciare il panino raffermo nel suo stomaco malnutrito.

Quel tozzo di pane duro offertomi da mani insanguinate e sporche è un pranzo nuziale rivisto alla luce di un uomo che non avendo nulla continua a dare tutto.

Farouk diventava l’icona della gratuità, del dono e non me lo sarei più tolto dalla mente. Già proprio io che andavo nel mondo a portare il messaggio del Vangelo vissuto.

Immagini indelebili quelle di Faorouk, Giulio, Pasquale, sorrisi e volti stampati nel cuore per sempre, dipinti in luoghi certamente poco raccomandabili ma sempre teatro di incontri con la porzione di umanità più bella.

Immagini indelebili dipinte proprio laddove va a spegnersi la corsa di tanti binari.

Seguii quella luce.

La vidi fioca – dapprima –
Tenue incandescente libera – poi –

Mi trascinò in cantine
mi sdraiò su marciapiedi
mi trasportò – con lei –
mi diede in dono la sua eredità:

ferite (da sanare)
lacrime (da tergere)
divisi (da congiungere)

Ruppe gli argini del buon senso
- anche del mio –

mi innamorò del buio
poiché in esso continuai a trovar (luce).

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