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Il lucifero di Wittenberg di Roberto Bertoldo

Argomento: Letteratura

Saggio di Sandro Montalto 

Proposta di Alfredo Rienzi »

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Pubblicato il 04/11/2017 14:39:23

Roberto Bertoldo, Il lucifero di Wittenberg

 

di Sandro Montalto

 

 

Thomas Müntzer, dottore il filosofia e teologia e cultore di lingue come il greco, il latino e l’ebraico, durante il 1517 intraprese un viaggio attraverso una Germania in fase di industrializzazione che stava provocando la proletarizzazione di artigiani e contadini pagati con salari minimi. Si rese conto delle difficoltà in cui il popolo versava e, mentre proseguiva i suoi studi, approfondì la necessità di trasferire i princìpi appresi e le sue riflessioni nella realtà quotidiana, diventando sempre più sensibile ai movimenti intrisi di ribellione sociale. Comprese anche l’insufficienza del riformismo luterano, sostanzialmente indifferente alla miseria delle popolazioni e sempre più compromesso con il potere (a breve Lutero scriverà la Fedele esortazione a tutti i cristiani a guardarsi dai tumulti e dalle rivolte: le riforme vanno fatte col consenso dei prìncipi cui spetta garantire l’ordine, perché il popolo è per natura anarchico). Da qui iniziò la sua predicazione, e la pubblicazione di testi come il Manifesto (1521), un violento libello contro preti e teologi che «non possono difendere la fede cristiana con una Bibbia che non sia stata messa in pratica, anche se cianciano tanto». Poco dopo abolì la messa in latino (in alcuni scritti dirà che è «impossibile sopportare più a lungo che si attribuisca alle parole latine una forza particolare, come fanno gli stregoni, e che il popolo esca di chiesa più ignorante di quando vi è entrato») e pubblicò nuovi testi sferzanti tra i quali Predica ai prìncipi. Lutero arrivò a definirlo il “Satana di Allstedt”, e lui rifiutò una disputa teologica da tenere di fronte ai “dottori” in un’aula universitaria, siccome i luterani (come i preti cattolici) pretendono di essere i mediatori fra Dio e il popolo, mentre secondo lui il singolo deve essere in diretta comunicazione con Dio che si rivela e parla nel presente, indipendentemente dalle Scritture. La predicazione si fece sempre più estesa e virulenta (il grido che invitava all’insurrezione era diventato “omnia sunt communia!”), finché gli eserciti del langravio Filippo I d’Assia avanzarono verso il nemico, sterminarono 5000 contadini in un solo giorno e catturarono il teologo che venne torturato ma, prima di essere decapitato, volle scrivere una lettera in cui invitava gli insorti a deporre le armi (pur ribadendo di essere nel giusto) per evitare altro spargimento di sangue.

In occasione del cinquecentesimo anniversario della Riforma luterana (nell’ottobre 1517 Lutero affisse le sue “95 tesi” al portone della chiesa di Wittenberg) si torna a parlare diffusamente della figura di questo controverso teologo, ma si parla poco, almeno sulla stampa più diffusa, di altri significativi personaggi, come Müntzer, che intrecciarono con lui la propria vita e il proprio pensiero. Nel 1998 venne pubblicato il volume Il Lucifero di Wittenberg - Anschluss di Roberto Bertoldo (Terziaria, Milano 1998), autore di volumi di poesia, narrativa e saggistica filosofica con i quali urgerebbe confrontarsi in maniera più organica ed estesa, a prescindere da logiche meramente accademiche. Il libro contiene due romanzi brevi nel primo dei quali si parla proprio della sua vita e delle riflessioni di Müntzer durante la rivolta dei contadini. Lutero nelle pagine del romanzo rappresenta i pericoli dell’idealismo che assume connotati egocentrici e fanatici, mentre il protagonista ha il coraggio, prima di tutto intellettuale, di stare dalla parte dei deboli. Nell’altra parte del volume, il romanzo breve Anschluss,il discorso è rovesciato: in un’Austria vittima di una nuova annessione tedesca drammi privati si illuminano alla luce del dramma pubblico, vari personaggi si confrontano e determinano le loro proprie forze di fronte all’ineludibile.

I due testi si incontrano nella tensione civile e filosofica che li caratterizza, nella protesta contro le scelte nichilistiche e nella denuncia dell’indifferenza verso il generale patire, spesso esercitata da chi dovrebbe difendere i veri valori ma ha abdicato per vigliaccheria o connivenza con il potere. Durante la narrazione Bertoldo denuncia infatti anche i finti intellettuali: si pensi a Hellmut, uomo che leggeva in media un libro al mese ed «era considerato colto perché viveva col libro sin quando lo aveva letto interamente e poi per un po’ di giorni traeva da esso tutta la propria saggezza», un uomo al quale «le idee altrui interessavano solo se confezionate in un libro». Come dice una nota dell’autore, Il Lucifero di Wittenberg è stato scritto nel 1989 «durante i giorni della rivoluzione rumena», ma «questo racconto analogico è sempre, purtroppo, di sconvolgente attualità».

Müntzer si chiede se davvero sia necessario esercitare la violenza per ottenere un po’ di giustizia, se solo i malvagi hanno potere o è il potere che rende malvagi. Sono, questi argomenti (la violenza, il potere, la fratellanza, l’anarchia, l’incontro tra purezza e concretezza, ma anche il rapporto tra letteratura, filosofia e sollecitazioni sociali e civili), tra le principali direttrici di una parte della riflessione filosofica di Bertoldo, negli anni successivi concretizzate in pubblicazioni di grande importanza come Nullismo e letteratura, Principi di fenomenognomica con applicazione alla letteratura, Sui fondamenti dell'amore, Anarchismo senza anarchia, Chimica dell'insurrezione, Istinto e logica della mente, La profondità della letteratura. Volumi che tutti gli studiosi di filosofia aperti alle sollecitazioni del reale, ma anche molti cultori della letteratura, dovrebbero affrontare e discutere. Sia tuttavia chiaro, ed è evidente alla lettura, che i romanzi di Bertoldo non sono mai esemplificazioni di teorie ma prodotti di profonde spinte emozionali.

Lo stile della narrativa bertoldiana (giunta oggi a sei romanzi pubblicati) è limpido, ricco ma affilato, duro con la dura realtà ma mai scevro di pietà e compassione. Non mancano sapienti descrizioni (memorabile quella del dottor Martinus), significative stoccate (come quando Lutero viene definito uomo che aveva affascinato «ettari di uomini»), aforismi intessuti nella narrazione («solo Dio perfetto e unico è in grado di guardare e amare all’ingrosso senza fare danni»). Il profondo senso di necessaria compassione viene poi concretizzato della tecnica dello “spostamento di ottica”: talvolta la parte del narratore è affidata al cosiddetto narratore onnisciente, altre volte la narrazione è improvvisamente affidata alla voce di uno dei personaggi, ai suoi pensieri; nel primo caso il dettato è più attento al generale, nel secondo ai meandri psicologici e soggettivi. Similmente, nel bellissimo Anche gli ebrei sono cattivi (Marsilio, Venezia 2002; libro che suscitò a suo tempo una serie di polemiche da parte di chi, ottusamente, aveva letto il titolo interpretandolo in base ai propri preconcetti ignorando ovviamente il resto del libro), l’autore sperimenta quella che in un vecchio scritto (Sandro Montalto, Il senso senza scopo: l’opera di Roberto Bertoldo, in: Sandro Montalto, Compendio di eresia, Joker, Novi Ligure 2004, pp. 25-37; mi permetto di segnalare anche, per un’indagine su altre opere bertoldiane, il mio Nullismo e fenomenognomica: la conquista filosofica, poetica e civile di Roberto Bertoldo, in: Sandro Montalto, Forme concrete della poesia contemporanea, Joker, Novi Ligure 2008, pp. 89-109) ho chiamato “la metamorfosi del pronome”: in tutte e tre le parti del volume, composto dai tre romanzi brevi Van Blarenberghe, Il teorema di Gödel e l’eponimo Anche gli ebrei sono cattivi (così diversi eppure così intimamente legati), viene a tratti sperimentato un mobilissimo “io” che si fonde a volte nella stessa riga con il “tu” e il “noi” dando vita ad un inquietante effetto di spersonalizzazione a vantaggio della compassione autentica, del comune sentire. E che dire di titoli di raccolte poetiche bertoldiane come Pergamena dei ribelli, o Il popolo che sono?

Senza dubbio la capacità di Bertoldo di creare e attraversare personaggi, costruendo attorno a loro un mondo essenziale eppure così ricco, senza mai sottrarsi all’ustione del contatto con la realtà, anche nel caso di questa riflessione su Lutero e Müntzer è uno strumento prezioso per familiarizzare con questo momento storico tanto tumultuoso e problematico, tenendo conto della riflessione storica ma senza dimenticare che la storia è sempre il racconto della sofferenza degli uomini. Di certo questo libro, come altri di Bertoldo ormai datati (nel senso editoriale del termine), meriterebbe una seria riconsiderazione da parte della critica e dei lettori, e magari una nuova e più efficace pubblicazione.

 

 

 

 


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