II. I soldi e il tempo buttato a guadagnarli
Mi sorprendo sempre della gente che maledice i soldi spesi, gli investimenti sbagliati o, più romanticamente, gli agenti atmosferici, come se agissero secondo una qualche volontà. Quel giorno tirava il maestrale. Veniva violento da dietro l’angolo, da dietro il promontorio d’argilla. Era d’agosto. Prendendolo da dietro un vetro, il sole, scottava come al solito d’agosto e soltanto vedendola in foto, quella giornata, avresti boccheggiato. Ma sulla sabbia, lì, sulla spiaggia, il calore del sole, lo strappava dalle pelli nude il maestrale. Qualche scialle fino e leggero, aggrappato a spalle o avvolto a bacini di donna, sventolava teso nell’aria e, visto controluce, pareva solo una macchia d’acquerello. Le sigarette, accese poco prima dell’inizio della ventolata, ancora appese alle labbra socchiuse, bruciavano al vento e, prima il fumo, poi la cenere, infine la cicca rubata, si dissolveva tutto. A largo, il mare, s’increspava. In alto, verso nord ovest, era tutto nero. Passeggiando affondavo i piedi nella sabbia asciutta per trovare un po’ di calore. Era lavoro, io stavo lì per lavoro se no me ne sarei andato. Ad ogni passo alzavo un po’ di sabbia che subito si lanciava ad inseguire il vento. Erano le quattro, in acqua c’era tanta gente. Le labbra cominciavano a farsi viola, i denti a battere, le mani a farsi rugose. Dalle file degli ombrelloni si sentivano delle donne che, avvolte negli scialli semitrasparenti, agitando asciugamani spiegati, urlavano il nome dei loro figli. Alcuni uomini, ignorando il vento, e sperando che fosse solo una folata, restavano a gambe incrociate sulle sdraio, cercando di leggere il giornale che si accartocciava e si ripiegava su se stesso o, a volte, inseguito dalle loro bestemmie, se ne volava via.
Eppure si paga per passare giornate così.
I bambini escono correndo dall’acqua, dai loro capelli bagnati si sfilano perle che bagnano la sabbia, le madri li avvolgono in asciugamani e li mettono in piedi sui lettini. Poi si allontanano per prendere le ciabatte. Il bambino, in piedi, completamente coperto dal telo, ha solo una fessura per gli occhi. Ancora bagnato d’acqua salata si lecca le labbra. Guarda il mare dal quale è appena uscito e che si sta ingrossando. Sente il suo richiamo, il suo pulsare, il suo essere vivo. Si sente afferrare per la testa, tirare giù, mettere seduto, spogliare del telo. Crede di dimenarsi ma è solo un’impressione, è solo lo sfregamento dell’asciugamano. Sente il maestrale freddo sulla pelle e crede di urlare, ma è tutto impressione, sogno, stanchezza e voglia di essere un'onda. Rivede il volto della madre, sopra di lui, stagliato s’un cielo nero. Sorride: per un attimo s’era perso. Per un attimo visse un naufragio. Delle gocce d’acqua arrivando dal cielo colpiscono la nuca della madre, le fanno strizzare un occhio, poi colpiscono la fronte di lui. Di lui che guarda il mare, vorrebbe immergervisi ma la madre lo porta via, in braccio per non fargli sporcare i piedi, come se fosse l’ultima volta.
Segue in "Ecumene lontano (3)"
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