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Ecumene lontano (1)

di Carlo Tontini
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Pubblicato il 30/01/2016 13:13:43

I. Preludio

 

Oggi il cielo non è come al solito. È un mosaico di pietruzze colorate, brillanti, accostate l'una all’altra con estrema maestria, che riflettono su di noi, nudi e gracili attendenti, il loro variopinto bagliore. Sembra d’ essere, anziché un proiettore, un innocuo e beato schermo bianco.

"Cesare! Cesare! "

Lei, colei che urla, avrà più o meno novant’anni. I piedi, ancorati nella sabbia come le radici di un pino nella terra, la sorreggono. Altrimenti, sporta in avanti com’è, con le mani ad ampliare la voce attorno alla bocca e quella gobba che le grava sulla postura, sarebbe senz’altro caduta faccia a terra. Urla : " Cesare!" a cinque o sei metri lontana dalla battigia. Cesare, vecchio come o forse più di lei, s’è incantato, coi piedi massaggiati dalla risacca spumosa, a guardare il tramonto irripetibile, o forse eterno, del sole riflesso s’un mosaico di cielo. "Cesare!" Si sgola lei, finché le mani, da vicino la bocca che erano, le cascano lungo i fianchi. "Cesare, sei sordo…" sussurra tra sé e sé, rassegnandosi, per l’ennesima volta nella vita, alla morte sempre più vicina.

Il mare calmo, col sole chino ai suoi bordi, riflette, stendendola dall’orizzonte ai piedi di Cesare, una passerella baluginante di svariati colori. Ed oggi, come mai, sembra eterno il mondo.

Perché tutti, dispersi avventori, attendenti impazienti, svogliati condannati ai lavori forzati, ci sentiamo soli e, martellando pietre, tra gli echi dei colpi cadenzati (apparentemente a caso ma in realtà al ritmo della nostra fatica), lanciamo i nostri disperati, o a volte disincantati, inauditi richiami.

"Tosca! È tardi, Tosca!"

C’è un uomo che in piedi sulla riva si gira attorno e grida: " Tosca!"

Ma è come se stesse zitto, perché "è tardi, Tosca" sono parole dette a un cane. È come se recitasse, anziché con la scusa dell’orario richiamare il cane, un canto d’amore al cielo e intanto ballasse. Tosca, tutta bagnata, col pelo appesantito dalla sabbia, corre attorno a quell’uomo; passa sulla sabbia asciutta, su quella bagnata, poi sull’acqua bassa della riva. Alza nuvole di caligine, lascia impronte, poi alza schizzi di mare. Ed è come non capisse o non volesse ascoltare, ma d’altronde chi la chiama lo sa, è come se stesse zitto. Ma continua la cantilena "Tosca! È tardi, lo sai, Tosca, Tosca andiamo via!" e intanto si gira attorno e con gli occhi segue Tosca ma è come non la vedesse.

A cosa si pensa mentre senza farci caso si alzano segnali di fumo?

Da lontano, da dove sul promontorio d’argilla sorgono i ruderi dell’antica villa romana, arrivano segnali: nuvole dense di fumo s’alzano al cielo, dapprima compatte, poi, man mano che salgono si gonfiano fino ad espandersi e a dissolversi nell’aria. Chi è? In che epoca siamo? Una sirena? Ho sentito bene, era il suono d’una sirena? Ah, eccola! Era una nave, che lontana, nascosta alla vista dal promontorio, sbuffava e suonava la sirena! Come ho fatto a pensare agli indiani? Forse è la fatica.

"Amilcare! Chi è?"

Tra le file degli ombrelloni se ne vede uno chiudersi e aprirsi. Ogni volta che s’apre, la colpevole, la donna che gioca con suo figlio, grida in falsetto : "Amilcare! Chi è?" e il bambino, chiuso nell’ombrellone, non risponde: ride. Sta immobile, nel buio zitto, quando la madre apre l’ombrello sente "Amilcare! Chi è?" strizza gli occhi al colpo di luce e ride. Il gioco andrà avanti ancora per molto: almeno fin quando arriverà la tristezza, fin quando i sorrisi e le grida in falsetto si scioglieranno nella stanchezza.

Verso nord il promontorio, verso sud il manicomio. Questa spiaggia insiste in un bell’angolo dell’universo. Il Mar Tirreno ruba e riconsegna la sabbia da ovest; a est c’è un’alta e ripida ripa d’argilla. Ogni tanto si sgretola franando e sulla spiaggia arrivano rotolando massi d’argilla, ma è problema di piccola entità poiché il grosso è tenuto dalle radici della folta vegetazione mediterranea che ricopre e abbellisce, dandole aspetto selvaggio, l’antica e benefica ripa.

"Bella la vita! Bella la vita è!"

Eppure sto qui, con un martello in mano, a martellare pietre. "Bella la vita!", mi sento gridare e penso di alzare la testa per guardare, ma aspetto finché non s’ode anche la seconda parte. "Bella la vita è!" Resto in ginocchio come sto, pieno di dolori e di fatica, e alzo lentamente la testa. È una donna che, passando sulla battigia, con due uomini ai fianchi e vestita da ginnastica, mi grida: "Bella la vita! Bella la vita è!" scuotendo ampiamente braccia e mani. Ha, sul volto, dipinto qualcosa di incomprensibile, qualcosa dipinto con tagli ancora sanguinanti. M’incanto, mentre il sole tramonta, a fissarla, stanco, dolorante, pieno di calli, con gli occhi socchiusi da gocce di sudore, e lei urla, guardandomi negli occhi, passando con passo di rabbia accalappiata : "Bella la vita!" Vorrebbe assalire chiunque, o forse solo parlare di vita, ma i due uomini, a ogni suo passo fuori linea le cingono tenacemente le spalle. E lei gesticola, fissa persone, e grida : "Bella la vita! Bella la vita è!" andandosene verso sud. Laddove l’inghiottirà il manicomio.

"Lode!"

Grido io a sole calato, getto il martello a terra, ho staccato. È da stamane che aspettavo che il sole, calando, ci avesse gettato tutti nel buio. Non c’è più mosaico, non c’è più nessuno, si sente solo un ultimo, esile, sommesso richiamo.

"Anna!"

Lui, colui che sbuffa, è Cesare, che a tramonto finito si volta e cerca Anna. Ma lei è un pezzo che c’ha rinunciato. Ha calato le braccia alla sua sordità e s’è avviata. "Anna… Anna… Anna…" ripete Cesare mugolando, intanto che, brancolando nel buio, cerca le orme lasciate da Anna, impresse, ancora per poco, nella sabbia.

Le troverà mai e con esse la strada di casa?

 

Segue in "Ecumene lontano (2)"


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