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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Emblemi

di Antonio Risi
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Pubblicato il 21/02/2015 20:25:27

Antonio Risi

EMBLEMI

 

Epistola ai posteri

Rattacci, che domani invaderete
ogni biblioteca polverosa,
quando, coi denti vostri, avrete rosa
l’opera mia, sommersa ormai dal Lete,

di tutto quel che scrissi sentirete
solamente sapor di cellulosa;
poi, lasciando di voi traccia schifosa,
incoscienti e satolli ve ne andrete.

Eppure godo nel vergare carte:
sacrificio al Signor, che me lo chiede;
da Lui non mendicando altro conforto

che la sua guida sulla via dell’arte;
ed avendo fermezza in questa fede,
l’incoscienza del mondo in me sopporto.

 

Delle nuvole

Volano lievi nuvole nel cielo
incuranti di strade e di paesi;
io pure ad esser cirro nei distesi
rasserenanti spazi azzurri anelo.

Vedo una nuvoletta, quasi un velo,
sfilacciarsi in batuffoli sospesi:
somigliano ai pensieri miei, che presi
da un dolce vento, van leggieri in cielo.

Ma quando un mio pensiero si condensa
attraendone altri a goccia a goccia
in una nube nereggiante immensa,

allora tu vedrai farsi la doccia
l’arsa campagna: provvida dispensa
senza la quale nessun fiore sboccia.

 

Del disamore

Coltivo senza voglia il mio giardino,
fra le rose estirpando mala erbaccia;
cento spine mi graffiano le braccia,
e medito così sul mio destino:

inginocchiato sto col capo chino,
e della terra la rugosa faccia
solo mirando, mai lo sguardo abbraccia
le rose tese al cielo cristallino.

Quando a maggio saran tutte fiorite
e spanderanno il lor soave odore,
liete fanciulle ne faran razzia;

ma dopo averle colte andranno via
ed io trascorrerò solinghe ore
accucciato a leccarmi le ferite.

 

Del male spirituale

Geme il mio spirto, piange e si dispera,
che invano il sommo ben brama e desia:
labirinto intricato, alpestre via
son forte scala alla superna spera.

Ma una voce bestial, superba e fera,
grida la sua ragion con gran boria;
imita di sirena la malia
o l'arcana magia della chimera.

È il richiamo del mondo, dolce e tristo,
ch’ha trappole disposte, al fin ch'io caschi
e rotoli, meschino, nell'abisso.

Io prego e al mio Fattor cieco m'affisso,
che il greve fango, alfin, benigno raschi
sì ch'io, leggiero, voli in grembo a Cristo.

 

Della testa e del cuore

Con grand’arte e perizia concepita,
la mia testa marmorea s’impone
con tale cristallina proporzione
che non potrebbe meglio esser polita.

Ben merita, Signor, che sia ferita,
ridotta in pezzi a colpi di piccone,
scagliata tra le rocce d’un burrone,
in polvere ed in fango convertita.

Malleabile e molle come cera
è invece l’insondabile mio cuore
che, docile, si piega alla Tua norma.

Perché s’imprima in Te, forma sincera,
fondilo con la fiamma dell’amore,
amor che, amando, in sé tutto trasforma.

 

Del fiorire inconsapevole

S’infiora il mio giardino, eppure ignora
quale misura fa fiorir natura:
ciascuna creatura fioritura
sfoggia, s’a primavera amor la sfiora!

In quel tempo che il Verbo sua dimora
stabilì in mezzo a noi, la
Tutta Pura
chinò il capo al mistero dell’oscura
fiamma viva d’amor che ci ristora.

Così da Te, mio Dio, sgorgasse, bella,
della Tua volontà fedele imago,
l’opera delle mie… delle Tue dita!

Invece m’arrovella ansia infinita:
cerco appigli e puntelli in brutto brago
e imbratto tele, chiuso in una cella.

 

Del cattivo teologo

Ti conosco, mio Dio, perfettamente:
ho indagato il tuo logos palmo a palmo,
e su di te ho letto più d'un salmo;
dove vai, donde vieni, ho tutto a mente,
quanto sopra di noi pesa il tuo giogo,
come nessuno alla tua altezza crebbe …

Se facessi un falò di quei volumi
allora ti vedrei, senza più fumi,
nel misero fratello che verrebbe,
fiducioso, a scaldarsi a questo rogo.

 

Dell’origine de’ sogni celesti & infernali

 

I (celesti)

In un manto di stelle va la scura
Notte nel Paradiso: a capo chino
dormono i santi il lor sonno divino,
s’addorme ogni beata creatura.

Ma Dio non dorme, che del mondo ha cura:
nella sua stanza accende un lumicino,
tira fuori una penna e un libricino
e riempie i bianchi fogli di scrittura.

Scrive il Signore, silenzioso, immerso
nei suoi pensieri: un intimo Vangelo
si squaderna fra gli astri taciturni.

Volan le carte via per l’universo
e scendendo così, di cielo in cielo,
divengono quaggiù sogni notturni.

 

II (infernali)

Va all’inferno la Notte: nera bambola
vestita di catrame, volto nuvolo.
I dannati sonnecchiano; ogni diavolo
si agita nel sonno e capitombola.

Ma Satana non dorme: fa una tombola,
s’incazza, si rannicchia sotto un cavolo,
acchiappa un suo libraccio molto frivolo,
scribacchia in ogni pagina una bubbola.

Satana scarabocchia: al fuoco bruciano
neri i fogliacci; fumi assai malefici
s’alzano in spire con funesti sibili.

Attraverso pertugi fuori sbucano,
e quei vapori fetidi e venefici
quassù diventano incubi terribili.

 

De’ divini libri

In paradiso una gran sala abbonda
di volumi da cui pare si libri
uno spirito ignoto, e si diffondan
voci soavi, e intorno intorno vibri
un mormorio come del mare l’onda;
perché questi divini e santi libri
sono l’anime eccelse di coloro
che coltivaro in terra il sacro alloro.

Quando d’un vate l’anima si parte
e verso l’Empireo dirizza l’ala
abbandonando le sudate carte,
giunge, dopo gran volo, a questa sala;
di bibliotecario adempie l’arte
finché un altro scrittor l’anima esala
ed a sua volta quest’ufficio assume;
quindi l’altro è mutato in un volume.

Premio miglior non credo che vi sia
per noi che offriamo a Febo eterni ceri.
Se abbiam pei libri tanta simpatia
da sentirne le voci ed i sospiri,
e lamentiam la nostra sorte ria
che non ci fa star sempre sui papiri,
quanto felici, o Dio, saremo allora
d’esser noi stessi quel che c’innamora!

 

Della musica

In principio il Silenzio copriva la faccia della terra,
e Dio seminò suoni nei vasti campi dell’Eden:
la musica fiorì; la raccolsero gli angeli cantando,
e tintinnarono le stelle nel firmamento del cielo.

Risonarono le acque, la terra e gli abissi profondi,
gli esseri viventi emisero voci diverse;
e l’uomo, fragile mistero, ascoltava il concerto
pieno di meraviglia e timore, ma non sapeva cantare.

Allora Dio prese le voci armoniose degli angeli,
le mille voci che le acque e la terra producono
e le voci varie di ogni creatura vivente,
e insieme le fuse, per formare la voce dell’uomo.

E l’uomo, con mani esperte, dà voce alla sorda materia
ricavandone strumenti dal suono melodioso.
Riflette la sua musica l’ordine del Creato
e nel suo canto d’amore risplende la voce divina.

 

Della felicità

Quando la gioia germoglia nel mio cuore
tutta la terra risplende di luce;
la mia voce s’innalza fino al cielo
per cantare le meraviglie del Creato.

 

Del tempo

Verrà l’inverno:
sul volto di mia madre
una nuova ruga.

 

Del trapasso

Nell’ora triste della dipartita,
nulla potrai per me, amica mia;
inutilmente, mesta usanza pia,
m’acconcerai il Rosario fra le dita.

Il Pane, padre, dell’Eterna Vita
mi porrai sulla lingua,
e così sia!
Ma non darai, con prece o teologia,
coraggio alla mia anima smarrita.

Sordo sarò, Signore, alla Tua voce:
invano griderai, soffrendo forte,
come quando spirasti sulla Croce.

Sgomento varcherò le nere porte,
e, greve sasso il gel fattomi atroce,
sprofonderò nel mare della morte.

Eppur sinistra sorte
sarà un baleno, e squillerà la tromba
che mi sprigionerà da quella tomba.

 

Della dormiente

S’arrostirono agnelli. Ancora fuma
qualche tizzone. Della folle festa,
del fiero pasto sparse tracce, restano
l’ossa spolpate che il tempo frantuma.

La sposa dorme ed il vento l’inuma
sotto grani di sabbia. Non la molestano
schiaffi e pizzicotti;
                                       sarà desta

se la vellicherai con lieve piuma.

 

Dell’aurora

Celeste chiarità risplende e luce
in dolce, mattinale aura rosata;
sorge il sole, una lampada riluce,
specchiando beatitudine, dorata:
nella tenebra oscura sarà duce
– così Speranza ne conforta, grata –.
S’appoggia a ulivo giovane un volume:
la Regola, del mondo vero lume.

 

Del tramonto

Nuvole d'oro velano la luce
raccontando gli addii, le nostalgie,
i desii rimandati al giorno dopo,
i passi degli erranti vagabondi
persi di là di lontani orizzonti,
lo struggimento vago dei vaganti
naviganti nel mare amaro amante.

 

Della bella stagione ormai in declino

Frivole frasi scrivimi
su secche, fragili foglie;

io t’offrirò, di soffice
neve, lievi plaquette.

 

Dell’avvenire

Su fragili foglie, mia folle sibilla,
che furon già verdi, tu verghi il futuro,
ma il vento disperde l’incerto venturo;
eppur m’avventuro ove il sole che brilla
nel mare s’immilla.

 

Della storia umana

Dell’uomo, fanciullo,
oscuro è il Principio,
non lieve la colpa,
sicuro l’ascendere,
ignoto il destino.

 

Delle mani

Le mani di mio padre han lavorato
la vita intera. Ruvide ma esperte
allorquando si dedica, solerte,
al suo orto. Non hanno mai rubato.

Forti mani ha mio padre: pur provato
dal dolore, sostiene le malcerte
braccia dei familiari ed alle aperte
bocche provvede il nutrimento grato.

Le fiduciose mani, in orazione
congiunte, di mio padre, umile e mite
creatura, sensibile bambino,

adorano Gesù di pane e vino:

vivo frutto del grano, della vite,

e del lavoro d’oneste persone.

 

Del contadino (indovinello cassinese)

La sua mano robusta e possente
scrive righe con stilo tagliente
su un gran foglio disteso al sole:
ci nutriranno le sue parole.

 

APPENDICE

 

Emblemata latina

 

De verborum insidiis[1]

Umbra mihi verbum, quo de luce loquor,
sed lucet, si de umbris tibi dico;
nostras per umbras lucem confitemur:
lux omnia vincit!

 

De hyperlibro[2]

Intuere. Hoc Opus lapideum
album atrumque geminatum est
crystallum: cruciformis Christi Liber
Evangeliorum.

 

De libro magico[3]

Si librum lego non aspicio verba,
sed voces sentio, inter se loquentes;
mundus panditur mihi, et recrearis
tu quoque, cor mi!

 

Emblemi in prosa

 

Dell’aurora

Un libro dalla rilegatura preziosa: la Regola di San Benedetto, s'appoggia, fidente, ad un divino, giovane ulivo. Una lampada, di quelle che s'usa accendere sull'altare, illuminerà la notte oscura dell'anima, ma è ora spenta, perché il chiarore dell'alba la vincerebbe. Immerso nella mattinale luce dorata, un tempietto classico garantisce che qualche divinità gentile rasserenerà il cielo.

 

Della storia di tre uomini

C'erano una volta tre uomini. Il primo divertì la gente coi fuochi artificiali: molti lo applaudirono, ma poi lo dimenticarono; il secondo donò un capolavoro all'umanità e fu ricordato nei secoli, ma pochi lo compresero; del terzo, che costruì una strada, nessuno seppe mai l'esistenza, ma la sua opera fu utile a tutti.

 

Del chiodo e la tenaglia (imitazione da Leonardo)

Con sommo terrore il chiodo si vide stretta la testa dalle minacciose fauci della ferrigna tenaglia, dalla quale tuttavia fu con tenace fatica tratto dalla lignea prigione ove era stato gran tempo sepolto.

 

Della candela ed il fiammifero (imitazione da Leonardo)

La candela si vantava col fiammifero di essere lei più grande e più durevole. Il fiammifero obiettò che senza di lui ella non potrebbe essere accesa.



[1] La parola è per me ombra, se parlo di luce, ma riluce se ti racconto delle ombre; attraverso le nostre ombre testimoniamo la luce: la luce vince/lega tutte le cose!

[2] Osserva bene: quest’Opera di pietra bianca e nera è un cristallo geminato: il libro cruciforme dei Vangeli di Cristo.

[3] Se leggo un libro non vedo le parole, ma sento le voci, che parlano fra loro; un mondo mi si spalanca davanti, e ti ricrei tu pure, mio cuore.


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