IL SORRISO
La signora Marisa sicuramente non era un gran che, ma sorrideva con gioia e per questo sovente appariva bella. Era una di quelle persone con cui si fa conoscenza in autobus o dal fornaio, o che si conoscono da sempre. Tuttavia lei non parlava molto, e non la si vedeva mai in compagnia di nessuno.
Eppure era impossibile non venire conquistati dal suo sorriso.
Era sposata ad un uomo che nessuno conosceva. Probabilmente abitavano un modesto appartamento pieno di soprammobili e calendari e penombra e che inondava il pianerottolo di odor di cipolla soffritta e di canzonette della radio. Era facile immaginare anche i gerani sul balcone, e i canarini, e una grossa pendola rumorosa. Meno facile era immaginare la vita che vi conducevano.
Dicono che la signora Marisa era sempre così allegra perché non aveva bambini né rimpianti, e di donne senza figli e rimpianti ce ne sono poche e sono le migliori.
Dunque la signora Marisa appariva migliore delle altre. Non era certo noiosa - e questa è una gran qualità per una donna -, ma probabilmente solo perché non le piaceva parlare. Ascoltava molto, o forse ne dava solo l'idea. Certamente avrà avuto più di quarant'anni, e altrettanto certamente avrà saputo applicare la grazia che emanava in un qualche passatempo tipicamente femminile come l'uncinetto, o il ricamo...
Si sapeva da sempre che lavorava come contabile in un insignificante ufficio del centro. Ciò destava molte perplessità: sembrava assurdo a chiunque che un volto così radioso potesse stare chino per tante ore nel dedicarsi a una mansione così incolore e monotona. In ogni modo si preferiva vederla insegnante, o più banalmente commessa in un negozio della città a dispensare generosamente il proprio sorriso a clienti ed avventori occasionali.
Le donne non provavano invidia né gelosia nei confronti della signora Marisa, anche perché non era mai venuta loro la più pallida idea di paragonarsi a lei. D'altra parte i loro uomini più che amarla la veneravano con troppa soggezione ed umiltà, e con troppo candore, per provare sentimenti diversi dalla devozione.
Tutti volevano proteggere la signora Marisa, tutti volevano difenderla dalla cattiveria e dal dolore, perché la si immaginava tanto ingenua e un po' sfortunata dato che solo le persone ingenue e sfortunate possono conservarsi così soavi e sorridenti a quarant'anni. Ma la signora Marisa non aveva nemici, né la sorte si era dimostrata mai troppo dura nei suoi confronti. C'era chi sosteneva che suo marito la trascurasse, altri dicevano che la tradiva - lei, certo, non lo sapeva! - In realtà nessuno lo aveva mai notato granché per il quartiere, né si era a conoscenza delle sue frequentazioni.
La signora Marisa non aveva amiche sebbene le donne con cui talvolta la si vedeva chiacchierare si reputassero tali. Essa non sembrava provare risentimenti né disprezzo, ed era di una tolleranza singolare. Tuttavia si comportava sempre con distacco e lontananza: nulla pareva interessarla direttamente e ascoltava ciò che vedeva e che le veniva raccontato con l'attenzione e l'indifferenza di chi poi deve riferirlo a qualcuno.
La signora Marisa non era mai più allegra o più seria del solito e la sua delicata compostezza incantava chiunque. E il suo sorriso era davvero bello.
Era una creatura solitaria e misteriosa; sicuramente possedeva un piccolo regno fatto di luce e di colori diversi dai nostri che nascondeva da qualche parte. Tutti cercavano di frugare nel suo sguardo e nei suoi gesti per avervi in qualche modo accesso, o almeno per cercare di intravederlo, ma non era lì. Il suo sorriso proveniva sempre da un luogo molto remoto, e il segreto di quella luce e di quei colori trasmetteva una forma di nostalgia verso un regno di bellezza che non veniva mai svelato, e che non ci poteva accogliere.
E' impossibile inventare un sorriso, dunque tutti credevano alla conturbante grazia interiore della signora Marisa, e vi si inchinavano con rispetto, e la benedicevano.
La sua vita era priva di eccessi e di novità, ma certo quel piccolo appartamento racchiudeva una quotidianità dolce e serena dove ogni gesto era fresco, solerte e silenzioso come un rituale. Un incrocio tra la signorina Felicita e una vestale della Natura. Un uccellino libero e solitario in un piccolo cielo fantastico.
Cosa desiderava per sé la signora Marisa? Lamentava mai gli sbagli, le preoccupazioni e le fatiche banali della quotidianità di chiunque? Quale necessità, o debolezza, la teneva legata al suo sposo? La sensazione era che lei fosse sempre e comunque altrove, e che a suo marito, a noi offrisse soltanto il grande sorriso senza incertezze, il suo enigma, la fede tenace in quel regno a noi inaccessibile, ma la cui esistenza ci confortava e rassicurava.
Sapere che è possibile rivendicare in modo radicale, sostanziale il possesso della propria esistenza, e viverla giorno per giorno per trasformarla, plasmarla, ricrearla a nostra immagine, inseguendo un sogno o un desiderio, il proprio irripetibile destino personale, potere godere di una serenità algida e silenziosa. Abbandonare la propria goffa natura, le bruttezze, le stonature, le stanchezze, per diventare un corpo armonioso, intero, libero, sano. Coltivare nel proprio giardino incantato i fiori inventati da noi e non vederli mai calpestati, né appassiti, né derisi. Non avere bisogno delle unghie per difendere il proprio regno, o delle menzogne per dissimularlo.
Vivere con trepidazione e grazia, e vedere sorgere miracolosamente sul nostro viso, maturare, rafforzarsi quell'immenso succoso profondo sorriso, somigliante al suono delle onde, o ad un tuono nella tempesta, o al ticchettio della pioggia sulle foglie, il luminoso segno delle nostre ricchezze celate ed inespugnabili, di una vita altra che ci nutre di vera vita.
Se nessuno di noi era riuscito a coltivare nel giardino incantato le proprie energie e le proprie emozioni, se molti di noi non erano nemmeno riusciti a sottrarle alle inettitudini e alle impossibilità, la signora Marisa ce l'aveva fatta, e le eravamo grati poiché essa testimoniava in ogni momento che - sebbene a noi tutti fosse preclusa - la possibilità di umana redenzione, di un diverso senso del vivere esiste comunque, e questo è qualcosa, anzi è già tanto.
Questo fino a giovedì scorso. Perché giovedì scorso la signora Marisa si è suicidata.
Col gas.
Sul biglietto c'era soltanto scritto: "Basta così. Non ha alcun senso."
Con ostinazione ci si è rifiutati di crederlo, e così si è subito sparsa la voce che era stata stroncata da un infarto: spesso le persone non vogliono perdere la presa sulle proprie illusioni perché non trovano un'alternativa sopportabile . E seguono ora in lacrime la bara, angosciati, ma il marito non piange.
Ecco le nostre speranze una volta ancora frantumate da un dolore sordo e impreciso.
Molti di noi piangono la morte per infarto della signora Marisa, e con lei la fine del suo regno e del suo sorriso, e ciò è certamente duro ed ingiusto. Solo pochi di noi guardano in faccia e piangono il suo suicidio. Solo pochi di noi hanno la forza di accettare, o perlomeno sforzarsi di farlo, che la signora Marisa non sia mai esistita, mentre è esistito soltanto il nostro bisogno disperato di crederlo.
E ancora meno fra noi, che possiamo ormai soltanto sopravviverle, continuano a scrutare il ricordo di quel sorriso senza inganni, domandandosi senza inganni da dove provenisse, se non era suo, e come potesse regalarcelo e nutrirci con esso se non lo possedeva, se non riusciva a nutrire con esso nemmeno la sua misera esistenza.
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