Arrivò alle nove, il sole stava calando, entrambi avevano già cenato. Si sedettero in giardino, uno difronte all’altra con una birra in mano. Lei incrociò le gambe, lui appoggiò i piedi sul tavolino.
Non ci fu imbarazzo, non c’era mai fra loro. Iniziarono a chiacchierare. Finita la prima birra ne stapparono una seconda. Terminata anche la seconda birra ad entrambi venne voglia di fumare, ma avevano smesso da tempo. Decisero di andare a cercare delle sigarette. Lei uscì in tuta, semplice, disordinata e distratta come sempre, portò con sé solo le chiavi.
Presero la moto. Quando lei gli chiese -Vuoi guidare?- Il volto dell’amico si illumino. I suoi occhi sorrisero felici, come quelli di un bambino in autoscontro. Un tempo era stata la sua moto, la sua prima ed unica moto, una SV 650, bicilindrica, venduta all’amica 9 anni prima.
Inserì la chiave nel nottolino, fece una leggera pressione sul pulsante dell’accensione, il motore sembrò avviarsi, ma, al primo tentativo, la moto si spense. Provò una seconda volta, il motore partì. Lui attese qualche istante, sgasò per far salire i giri del motore, premette la frizione, un leggero colpetto del piede sinistro verso il basso sulla pedalina del cambio, inserì la prima e, con qualche strappo, si mossero.
Trovarono un distributore di sigarette e si accorsero che nessuno dei due aveva con sé il portafoglio. Scoppiarono a ridere, si frugarono le tasche e misero insieme giusto i soldi per un pacchetto di Marlboro light da dieci. Quando furono sul punto di inserire le monete nella fessura, si resero conto di non avere il tesserino sanitario. L’arrivo di un camionista fu provvidenziale, prestò loro il codice fiscale e i due, ridendo, selezionarono le sigarette, ringraziarono e si allontanarono.
Tornati a casa ripresero i posti lasciati un quarto d’ora prima, con la compagnia aggiuntiva di una bottiglia di rosso che si divisero bevendo a collo.
Nonostante l’ora, in quella afosa notte di fine luglio, l’aria era ancora calda, satura del profumo della bella di notte e del rumoroso canto delle cicale.
Lui aprì il pacchetto. Non avevano l’accendino, quindi rientrò in casa, si piegò sulla fiamma del fornello e, facendo attenzione alle sopracciglia, accese la prima sigaretta che crepitando prese colore. Dopodiché si mise una seconda sigaretta tra le labbra, la accostò alla prima e, aspirando lentamente, la accese. Una nuvola di fumo gli uscì dalla bocca, tossì leggermente e le passò il primo mozzicone che pulsava nella penombra.
A lei tornò in mente quando, vent’anni prima, seduto sul ciglio della strada, con lo stesso gesto, le aveva passato una canna. Anche allora la stessa attesa, le stesse risate, la stessa complicità e lo stesso stordimento.
Ripresero a raccontarsi: amori di ieri e di oggi, paure, insicurezze. Parlarono del passato, del perché gli eventi avevano preso la piega attuale. Si confidarono le speranze sul futuro e tirarono fuori dal cassetto vecchi ricordi di un passato lontanissimo. Col tempo, i figli, il lavoro, la vita avevano imposto delle distanze, rendendo serate come questa praticamente impossibili ma, la fiducia era sempre la stessa.
Quando le sigarette ed il vino finirono, si alzarono e si salutarono con un abbraccio stretto, familiare, silenzioso e carico di promesse.
Mentre usciva dalla porta di casa, lei per un istante lo rivide: esile, impacciato, con folti capelli neri disordinati e guance paffute. Per un attimo il bambino di nove anni fu davanti a lei.
Varcò il portone ed il tempo riprese il suo corso. Quando passò davanti alla vetrata dell’androne, fili d’argento coloravano nuovamente i suo i capelli, all'altezza delle tempie. Il suo volto era maturo, l’aria serena, il passo sicuro di chi è in pace con se stesso. Poi scomparve.
Due cugini adottivi sulla soglia dei quarant’anni avevano preso una breve vacanza dalla vita. Entrambi quella notte andarono a dormire più leggeri e più giovani.
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