Nel film di Ruth Beckermann, intitolato Die Geträumten, risalente all’anno 2016, il carteggio tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan risuona con malinconico garbo e, a tratti, si dilata per trovare una sorta di solidificazione passeggera.
Proiettato in lingua originale, con sottotitoli in italiano, il film è stato proposto dal Cinema Troisi, in Roma, a conclusione di tre giornate dedicate alla regista austriaca e inquadrate dal titolo L’immagine della parola.
Una masterclass nell’Aula Magna del Centro Sperimentale di Cinematografia, nella giornata del 24 novembre, ha scandito ulteriormente il percorso.
Va menzionato anche il contributo organizzativo e il sostegno di Filmmaker e del Forum Austriaco di Cultura. Quella del 23 novembre 2022 è stata in particolare la terza giornata di proiezioni.
E la data coincide con il giorno di nascita del poeta Celan, nato a Cernauţi nel 1920.
Le parole, dirette all’ascolto ma anche agli occhi coinvolti nella lettura dei sottotitoli, si depositano con efficacia e determinano l’incedere delle immagini, scandite a loro volta delle posture, dagli sguardi, dalle dinamiche interne. Sono veri e propri stati confidenziali quelli che affiorano e vanno a illuminare un tempo circoscritto, complesso ma in fondo delicato, nei cui spiragli “ogni giorno è pieno di echi”.
Nell’affiorare vorticoso di impedimenti e sospetti ma anche di amabili tenerezze e aperture, la strutturazione resta essenzialmente e caparbiamente duale: abbiamo infatti un attore (Laurence Rupp) e un’attrice (Anja Plaschg) vistosamente coinvolti nella declamazione e sinceramente toccati dall’energia interna contenuta nelle lettere. La compostezza spartana dell’impianto non dà adito a strategie narrative extra. Né prevede l’ingresso collaterale di flussi episodici più o meno accidentali, salvo pochi istanti di deviazione.
Sono gli ambienti stessi (una sala da concerto, dei corridoi da percorrere, una rosticceria per la pausa pranzo divisa da porte vetrate) e gli arredi o gli strumenti (un divano dalle tinte accese, delle sedie di design, un pianoforte a coda) a generare delle sparute digressioni, che poi finiscono per rendere accentuata e oltremodo sostanziale la focalizzazione sull’ampio - ed elegante - spazio di registrazione, dove trova pieno svolgimento quasi tutta l’azione.
Nessun cambio di abiti, nessuna interferenza a turbare l’intima ricostruzione del legame. Le toccanti domande e risposte generano dei brevi confronti tra attrice e attore: calibrati o accesi commenti sugli ostacoli, anzi sull’impossibilità della relazione. Un’impossibilità accentuata dai “tempi difficili”. Gli sguardi si mantengono vivi, comunicano e restano quasi circondati da ventate di vicinanza. Lo scopo è probabilmente quello di dare poi spazio ai risvolti vistosi dell’incomunicabilità, purtroppo anche del dolore.
Tra alcune labili apparizioni oggettuali ed elementi visivi, gestiti a mo’ di comparse, troviamo una o più sigarette, una mela da mordere. A seguire dei tatuaggi sul braccio. Le movenze libere e dialoganti delle mani finiscono per generare una mobilitazione quasi subliminale, dove l’occhio trova un respiro, quasi una secondaria attrattiva.
Anche i microfoni, a ben vedere, assurgono a personaggi: sono quasi degli osservatori statici dotati di compartecipazione, così come i fogli sparsi, rigidi, in color crema, su cui sono stampate le lettere scelte per la lettura e dunque per la registrazione.
Si avvitano i ricordi intorno alle città salienti volta per volta raggiunte, attraversate, sfiorate o pienamente vissute: Parigi, Roma Napoli, Monaco e altre ancora. Localizzazioni essenziali per celebrare e lasciar dispiegare i singoli momenti e incontri. Con calore o freddezza, certamente con poetici collegamenti. I viaggi e le vite si sostanziano. Nel mentre le disparate sofferenze si attutiscono o si aggravano. E i disguidi si mescolano (all’amore, alla fiducia, alle stratificazioni poetiche, al dissapore, alle scelte di lontananza).
In un breve discorso introduttivo la Beckermann ha voluto dichiarare come fosse interessata a costruire nuove modalità per integrare la letteratura, arrivando a fare cinema. Quello che ha ricomposto, con tocco lieve, non appariscente, è in fondo un breve viatico, una mappa di varchi esistenziali.
La scelta del sussurro per le parole finali, pronunciate dall’attrice, va a circoscrivere probabilmente il vuoto provato da Bachmann dinanzi alla morte di Celan, la cui vita - sospensione si concluse nel fiume.
Il film ci lascia riflettere sulla qualità dell’essere sognati e, d’altra parte, sulla possibilità di trasformarci o vivere in quanto “esseri sognati”. Sono affidati alla nostra conoscenza i versi di entrambi e le diluizioni delle reciproche esistenze.
Emerge inoltre un invito: quello di saper vivere la parola, percependone l' essenza sottile, ma al contempo palpabile. Una parola che può farsi donazione e, in quanto tale, permanere seppure con una variabile e mutevole significatività.
Gli altri due film presentati all’interno della rassegna sono stati: Mutzenbacher (2022) e Waldheims walzer (2017).
Anna Laura Longo ( dicembre 2022)
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