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Nonn’Anna

di Bianca Fasano
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Pubblicato il 11/12/2015 00:06:11

Nonn'Anna Molti anni prima: Un ritorno a Napoli, con l'occasione di "ricercare" la tomba di suo padre. Come inizio della storia sembra macabro, ma questa è una storia di passato e presente e di amori passati che, in quanto "Amore", non hanno tempo. Aveva preso un pullman. Quale? Non lo ricordava. Si era ritrovata in uno spazio che in seguito avrebbe saputo essere quello che portava all'ingresso del Cimitero monumentale di Napoli. Insomma: si era sbagliata; il padre, ossia quello che restava fisicamente di lui, era al "Nuovissimo". Entrò dall'immenso cancello. La memoria di quelle ore le riportava la sua ricerca inutile, un vasto spazio verde e l'improvviso ritrovarsi dinanzi ad un bel monumento funebre su cui, con grande sorpresa, ritrovò i nomi di suoi avi: il nonno e la nonna della mamma, di cui lei le aveva parlato molte volte. L'amore. Gelsomina era fidanzata ad un "bravo giovane", si chiamava Ribelle, ma lo era soltanto di nome. Un artista, capace di farle un ritratto ad olio su tavoletta, che la fidanzata aveva trovato brutto (purtroppo: altrimenti sarebbe restato nel tempo, in famiglia), ed uno in argilla, con i suoi boccoli dorati, tendenti al rosso, il volto sottile, lo sguardo fermo, di cui era restata la copia in gesso dipinto colore del bronzo. Quello sì, rimasto in famiglia (a ricordo dell'abilità artistica di quel giovane non amato, ma non per questo non degno d'amore), assieme ad un piccolo ritratto dello zio Emilio adolescente, addormentato su di una sedia. Ribelle amava Gelsomina, ma lei non ricambiava e un giorno aveva conosciuto Gaetano, quello che sarebbe restato, fino alla morte di lei (lui morì prima, molto prima), l'unico, grande amore, della sua vita. Gaetano era un giovanottino esile e delicato, dal carattere forte, dai capelli lunghi e neri come l'ala di corvo (che sarebbero, purtroppo, caduti ed avrebbero lasciato in figli e nipoti il "triste" destino genetico di una capigliatura bellissima, cui lasciava il posto, in breve, una più o meno forte, calvizie). All'epoca il papà di lei aveva capito presto che la figlia, ribelle (lei sì), aveva perso la testa per il giovinotto del piano di sotto, il quale aveva quattro anni meno di lei, cioè soltanto sedici. Ridicolo. Così le aveva detto che rischiava, lasciando il fidanzato, di "restare appesa al lampadario" del soggiorno. Sogghignando tra sé, ben compreso del fatto che la figliola non avrebbe cambiato idea. Non la cambiò; si lasciò corteggiare dal giovane Gaetano, per un tempo imprecisato, permettendogli di crescere almeno un po'. Intanto lui studiava "al classico" e, essendo decisamente agiato, possedeva in casa uno dei primi telefoni, per cui contattava una studentessa, anche lei "telefonomunita". La giovane Gelsomina era gelosa. Aveva fatto amicizia con la sorella del giovinotto e si recava in casa il più possibile. Cantava (aveva una bella voce, che avrebbe passato in dono ai nipoti, figli della figlia), sembrava un'attrice nelle movenze, vestiva in modo elegante (lei cuciva bene), e faceva sì che il giovinotto non la dimenticasse. Fu gelosa anche di un'amica di lui, che, come accadeva spesso in quel tempo, sarebbe morta poi giovanissima, di tubercolosi. Intorno, di tubercolosi, si moriva spesso: era il cancro dell'epoca. Intanto in qualche modo c'entrava anche il ricordo della nonna Anna. La donna, proveniente da un paesino al di sopra di Amalfi, era quello che al suo tempo (molto prima della storia di Gelsomina), si poteva definire una "ricca proprietaria terriera." L'amore. Anna viveva ad Agerola, seconda figlia femmina, quando l'affascinante Stanislao, che sarebbe poi divenuto Presidente di Corte d'Appello, si era dovuto recare in quel paese, assieme ad un giovane che lavorava con lui (forse anche parente), per questioni legali. Lui, più anziano di lei, la conobbe e s'innamorò. Lei perse totalmente la testa. Ma il matrimonio risultava difficile, perché il matrimonio toccava, per turno, prima che ad Anna, alla sua sorella maggiore. La storia, raccontata da Gelsomina alla figlia Bianca, suonava più o meno così: -"Per sposare nonn'Anna, Nonno Stanislao convinse l'amico a sposare la sorella maggiore di lei, per cui si fecero due matrimoni."- Questa nonna era stata molto amata da Gelsomina. Raccontava di lei una serie di aneddoti: Morto il marito, aveva comprato un terreno al Camposanto, facendosi costruire una bella tomba, con tante foto, di età differente di lui e di se stessa, come se giacesse già nella tomba. La gente che passava davanti al monumento la trovava seduta a ricamare (o a lavorare a maglia), stupendosi di vedere che la foto sulla tomba fosse la sua, per cui le chiedevano: -"Ma quella foto non è la sua?"- E lei diceva che sì, era proprio la sua, ma per adesso non aveva ancora intenzione di entrare nella bara. Poi c'era la storia del nonno Cesare (nonno di Bianca), che amava la sorella e, al momento in cui morì il gallo più bello del pollaio di lei, fece del lunghissimo artiglio di questo un ciondolo in oro, che le regalò, facendola irritare. Ancora: questa nonna, che viveva un po' fuori di città (Poggioreale, vicino al cimitero), era stata biondo/rosso, per cui, quando i capelli le divennero bianchi, li tinteggiò con il mallo di noce, rendendoli di un candido biondo. Li portava lunghissimi sulle spalle. L'amore della Nonn'Anna per il suo Stanislao era geloso. Lui faceva vita di società e la portava con sé, ma quando lavorava, nel suo studio, molte belle donne, per ragioni di vario tipo, lo corteggiavano. Lei lo costrinse a fare un piccolo buco nella grande porta bianca, da cui lo controllava. Lui ben sapendo il fatto, non sapeva come frenare le irruenze delle belle donne che tentavano di sedurlo. La notte, raccontava nonn'Anna alla giovanissima nipote, "era così bello allungare la gamba e trovare quella di "Stanislao mio". Nulla da stupirsi se la giovane Gelsomina volesse dalla vita niente di meno che "l'amore vero". L'amore vero si chiamava Gaetano e quando il bel giovinotto, stanco di attendere (intanto si era diplomato), la fermò per strada dicendole che avrebbe dovuto lasciare il fidanzato o lui sarebbe andato per la sua strada, lei gli strinse la mano. Si guardarono in viso e si dissero:-"Va bene". E lei lasciò Ribelle. La tomba. Intanto la nonna però era morta e lei, prima del famoso accordo sancito, si era recata proprio sulla tomba della nonna, scrivendovi nome e cognome con la matita, per chiederle aiuto. Forse l'aveva davvero aiutata, perché Gelsomina sposò il suo Gaetano e ne ebbe cinque figli, anche se lo perse troppo presto, scrivendo a sessanta anni per lui che l'aveva lasciata a cinquantasei: -"A Gaetano Tutto mi hai dato amore. Il folle desiderio la grande tenerezza l'abbraccio materno la gelosia l'acquietarsi dei sensi il calmo susseguirsi degli anni di conforto. Mi hai dato tutto, amore, la mano forte la mente sempre vigile la tua presenza. Ma senza il tuo volere per folle mio destino anche il dolore atroce di non udire più la tua voce." Anni dopo, quindi, lei, Bianca, si era ritrovata davanti a quella firma a matita che, incredibile a dirsi, era ancora sul marmo. Ma la storia non finiva così. La mamma era morta. Lei era rientrata a Napoli, portando con sé le foto di Anna e Stanislao, da cui Gelsomina non si era mai separata. Con grande gioia, aveva ritrovato, complice facebook, i parenti della madre, ossia quelli che portavano lo stesso cognome del nonno Stanislao e anche lo stemma di famiglia. Desiderava, però, ritrovare quella tomba visitata anni addietro e non sapeva come fare. Napoli non le era poi tanto chiara nella rete viaria e a quel cimitero, tanti anni prima, era capitata "per caso". Ammesso che lei credesse al caso. Ma si lasciò guidare "dall'istinto" e decise dovesse trattarsi del Cimitero Monumentale. Mise un'indicazione sul Tom Tom. Fermò l'auto in uno spazio mutato, rispetto al passato, a causa della costruzione in atto di una fermata della metropolitana di Napoli. Si avviò, con una sicurezza ben strana, verso l'enorme cancello seminascosto da palizzate provvisorie e giunse davanti ad una strada che portava in alto (per le auto) e una a destra, a basse e larghe scale, destinata ai pedoni. La memoria le rimandava quel monumento funebre in uno spiazzo, ma la memoria gioca strani scherzi: dopo una trentina di metri, sulla sinistra, "ferma" dal 1919, c'era il monumento che ricordava. Al suo fianco era stata edificata la tomba, decisamente più recente, dell'autore di "Luna rossa", ossia Antonio Viscione, in arte Vian, compositore italiano morto nel 1966. Quella degli avi era coperto di edera, sulla parte posteriore, di cui staccò un ramo con le radici (per ricordo) e sul davanti l'accolsero tutte quelle foto di Stanislao ed Anna. La firma di mamma Gelsomina era ancora sul marmo. Le venne fatto di pensare che, forse, la sua convinzione di farsi cremare, non fosse poi così giusta: magari qualche nipotina l'avrebbe cercata, un giorno, senza trovarla.


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