Il problema linguaggio non si può superare con un clic e se permettete trovo che sia bello che sia così.
Bisogna impegnarcisi in prima persona e coinvolgere la gente con la quale si con-vive.
Insomma è una sfida costante che si arricchisce attraverso la lettura e la scrittura.
Ma attualmente per la maggior parte della popolazione italiana assisto ad un progressivo impoverimento del linguaggio, sia scritto ( con evidenti fenomeni di analfabetismo di ritorno), sia parlato, tanto che rischia sempre più di diventare assai difficile comunicare attraverso la parola, parlata o scritta che sia, emozioni, pensieri e ragionamenti che siano minimamente complessi. La stessa scrittura adottata da una gran quantità di persone per comunicare sui social tramite smartphone o tablet è sincopata, semplificata, spesso abbreviata utilizzando lettere che non sono nel nostro alfabeto o locuzioni brevi mutuate da altre lingue a cominciare dall'inglese. Ma il linguaggio sui social costituisce un discorso che per il momento accenno appena perché merita un discorso a parte.
La maggior parte della popolazione si informa e apprende attualmente, e già da una trentina di anni almeno, attraverso la televisione, di cui c'è dalla metà circa degli anni 70 del secolo scorso una notevole varietà, offerta sia dalle emittenti pubbliche che da quelle private, a cui si sono aggiunte da alcuni anni altre emittenti come le tv-web e i podcast. Ne consegue che il linguaggio della maggior parte delle persone ovviamente è stato ed è sempre più condizionato proprio dal linguaggio televisivo.
Nella televisione attualmente noto inoltre che è spesso più chiaro e anche più complesso il linguaggio usato in pubblicità, perché deve convincere il più possibile, anche chi non sarebbe magari italiofono. Invece quello dei cosiddetti programmi di intrattenimento risulta sempre più povero e incrementa l'incomprensione e la rissa, sempre più protagonista delle serate e dei dibattiti (!), mentre quello degli attori delle delle cosiddette fiction nostrane ( una volta si chiamavano sceneggiati) è invece poverissimo, troppo spesso infarcito di dialetti improbabili e bofonchiato o urlato a renderlo poco al di sopra del grugnito...
Quanto ai telegiornali imperversa lo stereotipo: un acquazzone violento è sempre definito bomba d'acqua, il caldo è sempre torrido, la temperatura percepita (da chi?) superiore di almeno 5 gradi a quella reale, la parola epocale viene usata a profusione assieme ad altre amenità del genere ripetute fino alla nausea. Quanto al "cambiamento climatico" viene citato ossessivamente per attribuirgli tutte le responsabilità che in realtà sono assolutamente e pressoché totalmente "umane".
Poiché a quanto mi risulta è ancora la nostra scuola pubblica che dovrebbe essere il luogo dove si apprende la lingua in tutte le sue molteplici sfumature di vocabolario, grammaticali e sintattiche e quella italiana ne è ricchissima, come succede che venga praticamente soppiantata dalla televisione ?
La scuola italiana di Stato esiste ancora e vive in mezzo a noi, perciò cosa fanno i suoi docenti/educatori per incrementare la conoscenza e l'uso diffuso della lingua italiana e come lo fanno nell'ambito delle loro professionalità??
Visto che richiede attenzione e studio, sì STUDIO ovvero impegno personale da parte loro, dei docenti a usarla, e imparare ad aiutare i loro discenti a fare altrettanto, come procedere nella pratica?
Si SEMPLIFICA, tipo si passa dalla lettura e scrittura, con esercitazioni singole e collettive partendo dai testi in buon italiano, di storia, geografia, avventure , romanzi, saggi, di tutto e di più, alla visione di film di autori italiani e non solo. Cioè si sostituisce da parte del docente per lo studente alla pratica personale attiva, la fruizione collettiva del tutto passiva: una rivoluzione totale nella capacità di uso e rielaborazione del linguaggio nonché di analisi e sintesi critica del messaggio, che non può non rimanerne decurtata a e deprivata in modo quasi irrimediabile.
Francamente me ne sono sempre infischiata di quello che il potere mi imponeva di fare a scuola come nella vita.
Un docente professionalmente preparato e consapevole sa benissimo di essere assolutamente libero di interpretare il proprio ruolo di educatore e di esserne l'unico responsabile nei confronti dei suoi discenti. Che l'efficacia della propria azione educativa si valuta a breve, ma soprattutto a lungo termine, nelle capacità che i discenti una volta adulti e ormai fuori dall'istituzione scolastica sono in grado di usare e trasmettere col loro lavoro nella società civile.
Da quando esiste la Scuola è fatta dal Docente coi suoi allievi, in libertà e responsabilità personale, ed è fuorviante pensare che sia altri a potere e magari dovere indirizzare lo studio e l'apprendimento. Ma senza la ginnastica dello studio e dell'apprendimento e dell'uso del linguaggio complesso il cervello smette di funzionare... e il QI diminuisce.
Che fare ?
Ecco qui di seguito un articolo di Christopher Clave per aiutare la riflessione.
AMg
"Il Quoziente d'Intelligenza (QI) medio della popolazione mondiale è in continuo aumento (effetto Flynn). Questo almeno dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni 90. Da allora il QI è invece in diminuzione... È l'inversione dell'Effetto Flynn. La tesi è ancora discussa e molti studi sono in corso da anni senza riuscire a placare il dibattito. Sembra che il livello d'intelligenza misurato dai test diminuisca nei Paesi più sviluppati. Molte possono essere le cause di questo fenomeno. Una di queste potrebbe essere l'impoverimento del linguaggio. Diversi studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l'impoverimento della lingua: non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo. La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di «colpi mortali» alla precisione e alla varietà dell'espressione. Solo un esempio: eliminare la parola «signorina» (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero. Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall'incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile. Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. La storia è ricca di esempi e molti libri (Georges Orwell - 1984; Ray Bradbury - Fahrenheit 451) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c'è pensiero senza parole.
Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro? Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere, e ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto?
Cari genitori e insegnanti: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo c'è la libertà. Coloro che affermano la necessità di semplificare l'ortografia, scontare la lingua dei suoi «difetti», abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell'impoverimento della mente umana.
"Non c'è libertà senza necessità. Non c'è bellezza senza il pensiero della bellezza."
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