Una musica ondosa, quasi "denudata", quella di Éliane Radigue, dove un' interessante estenuazione diviene parte integrante del discorso, in vista di una costante fluidificazione degli elementi minimi, i quali risultano paradossalmente appariscenti, pur avvalendosi di una natura eterea, quasi scorporizzata.
Viene data, per scelta, un’estensione al suono, continuamente coltivato, in parte anche abbracciato nella sua essenza, che pur sempre rammenta l’eco di un soffio o risucchio primordiale.
Il timbro anticorrosivo si unisce a un tocco di instancabilità (quasi insaziabilità) nella gestione delle durate. È in una tale prospettiva che viene a generarsi un effetto di sottile coibentazione per l’ascoltatore, che risulterà immerso in un sapore e quasi in un sussurro di carattere perdurante.
E così il suono, imbevuto di tali ingredienti, sembrerà sottoposto quasi a inseguimento. Risulterà essere “trasportato”, più che prodotto, dallo strumento che, volta per volta, verrà coinvolto nell’esecuzione, con movimenti e arricchimenti che tenderanno a non ledere l’imperturbabilità e l’avvenenza del gesto minimale.
Tra i titoli da ricordare ritroviamo sicuramente Occam Océan, un ciclo di opere strumentali su cui la compositrice lavora da circa un decennio. È emblematica la versione orchestrale, ma di questo ciclo esistono diverse versioni per strumenti solisti o ensemble.
È demandato dunque al tempo l’insaporimento del tessuto sonoro. Ci riferiamo in primis al tempo ineludibile di svolgimento. E malgrado sembri stanziale questa musica tuttavia si mobilita felicemente proprio situandosi tra accrescimento e spaziosità, garantendo – anzi- alleanze tra le due componenti. Un vero e proprio sconfinamento sonoro che si sviluppa mediante la ricerca di una trascendenza.
La musica di Éliane Radigue è un corpo stabilizzato, capace di incedere con adeguata e sostanziosa lentezza, ma al contempo con sobrietà trasmissiva.
Ogni brano può considerarsi una lunga vicissitudine, che vive in assenza di infiltrazioni e turbamenti esogeni. L’orecchio non dovrà mancare di aver premura, addentrandosi nei circuiti interni, senza smania o pressione, senza esigenze articolatorie di tipo quantitativo.
È per questa ragione che il finale, il più delle volte, sembrerà non infrangersi contro il fondale del silenzio. Più che un vero arresto, esso apparirà come il frutto di un riassorbimento: una fagocitazione attuata o impressa dalla realtà circostante.
In assenza di nodosità o deviazioni risulterà interessante assistere a una plasmazione di libertà sommesse e propizie.
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