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Lettera ai miei morti

di Giuseppina Rando
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Pubblicato il 02/11/2015 07:22:42

Miei cari,

 dal giorno che abitate il luogo dell’assenza il mio amore per voi si è intensificato.

Quando mi avete lasciato ,  la vostra dipartita  mi è sembrata come un’evasione nella notte, verso un luogo di silenzi solenni e profondi, dove “la bianca signora “, che era ad attendervi, vi avrebbe dato consolazione. Come il poeta dell’Infinito mi sono immaginata per voi interminabili spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete.

 Assenti sì, ma presenti e non solo nei miei pensieri. Mi sembra spesso di percepire la vostra  incorporea figura tra gli elementi della natura: nella pioggia che bagna l’arida terra, nei fiori che sbocciano, nel vento lieve che mi accarezza, nell’acqua dei fiumi che scorrono verso il mare, negli uccelli che volano liberi nell’aria, nelle nuvole che si compongono e scompongono in cielo.

Nelle notti  lunari, sotto lo smalto del cielo, vestito di stelle, vi cerco, lassù, sul filo del pensiero, ma… mi sommerge… l’oceano del silenzio.

 Mi risuonano “dentro”, come echi lontani, soltanto le vostre antiche parole.

Tra voi arde l’eternità e brucia il tempo. Uno dopo l’altro, i vostri volti, nitidi,  mi sfilano davanti come per ricordarmi che avete scoperto la vita con gli occhi del pianto e che la saggezza non consiste nel conoscere molti libri o nel possedere molte nozioni, ma nel saper leggere il libro della vita.

Quando eravate qui, accanto a me, vi ho apprezzato per il modo di vivere, di  riflettere e vi ho amato profondamente. Adesso il vostro silenzio mi brucia.

Sulla strada della mia vita, dal corteo delle persone che mi accompagnano, se ne stacca una -di tanto in tanto -  quasi in sordina -  e si perde nel buio della notte. Il mio corteo diventa così sempre più esiguo perché solo apparentemente giungono altri sulla strada per camminarmi accanto.

 Voi, che siete stati con me fin dall’inizio del cammino, siete rimasti i più vicini al mio cuore.

Gli altri sono semplici compagni di viaggio. Da voi - che ho tanto amato e che mi avete amato - ho ricevuto quella fiaccola che mi illumina lungo il cammino.

Ricordo, Tom, come  fosse stato ieri, ma  sono trascorsi moltissimi anni,( ero allora una ragazza ! )   ciò che mi hai detto, al crepuscolo tremolante di un triste giorno.

 Eravamo nella terrazza sul mare, sotto un cielo striato di nuvole, a strisce d’argento e piombo: “… se non sarai una celebre letterata o  se non sarai una grande filosofa , non sarà per te una rovina, ma se non saprai vivere, se non saprai vivere sì , sarà una rovina per te...”

Imparare a vivere, Tom, tu stesso ne hai fatto esperienza, non è facile. Ancora…io non ho imparato!

Mi è di conforto il filosofo  Seneca quando scrive : “Non v’è arte più difficile del vivere… a vivere si deve imparare attraverso l’intera vita;… e vi stupirà ancor più, attraverso la vita, si deve imparare a morire”.

Vorrei che tu mamma , papà, nonna Peppina, amatissimo fratello Mimmo che proprio nel giorno del Signore, Domenica delle Palme  sei volato via, e voi tutti, amiche ed amici, rompeste  questo crudele silenzio per parlarmi di voi, dell’Altrove in cui vi trovate.

Sono certa, esistete !

Eppure nessuna vostra parola giunge al mio orecchio, nessun segnale, nessuna dolcezza del vostro amore riempie più il mio cuore. Silenzio che brucia.

 Nelle mie sofferenze essenziali, nelle speranze disperate, nelle attese deluse, nelle tristezze radicali ho sempre cercato-  scioccamente? - conforto in un vostro sostegno,  suggerimento, -così, come quando eravate qui – ma… non ricevendolo, la mia anima si è nascosta nelle pieghe di se stessa.

Forse volete che io vi dimentichi? Non si può dimenticare chi si ama. Nessuno può sostituirvi.

Mi hanno insegnato (e  voi me lo avete sempre ripetuto) : “Chi muore nell’amore di Dio- l’Eterno Presente- la sua vita non è tolta, ma mutata nell’eterna, sconfinata pienezza di vita”.

Perché allora, spesso, mi sembra che voi siate tanto lontani da me, proprio come se non esisteste più?  Forse che la luce del  Sempre Presente, la luce di Dio, in cui voi siete entrati, è così debole che non riesce a  giungere fino a me?

 Anche Dio mi sembra morto come i morti. Eppure sento di amare Dio così come amo voi .

 Intanto, tacete voi e tace Dio.

 Il silenzio e l’assenza sono le condizioni, forse, per poter  penetrare nell’eternità?

 Già, il silenzio è più profondo della notte, più misterioso del cielo stellato.

Mi piace, allora, intendere il vostro silenzio non come assenza di voci, ma come l’involucro teologico di una presenza.

 Sarà -certamente- perché il mio amore possa svelarsi che il vostro amore si copre di silenzio.

Se Dio si mostrasse a me, non sarebbe necessario che io lo cercassi. Per trovarlo devo, quindi, uscire dalla mia finitezza, staccarmi dal concreto, dal fluire della vita.

 Voi, che siete entrati nell’eternità, imitate il silenzio di Dio. Le vostre parole d’amore per me  si sono fuse con l’amore infinito di Dio.

 Il vostro tacere altro non è che l’eco del tacere di Dio.

 Possa, allora, l’amore che nutro per voi diventare una prova della mia fede in Dio.

Possa io saper ascoltare e comprendere il vostro silenzio, quel silenzio che è l’intima parola del vostro amore.

L’anima mia è vicina a voi e al Dio del silenzio, al Dio di tutti coloro che vivono in Lui, il Sempre Presente, il Dio dei viventi.

O  Dio dei viventi e voi , miei cari, non vi dimenticate - vi prego- della “morta” che sono io.

 Giora

16 aprile 2014 


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