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Nandòn, il marinaio

di Marco Tealdo
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Pubblicato il 05/12/2007

Nessuna scelta per chi nasce in un paese in riva al mare.
Da grande sarà un marinaio. Neppure un ufficiale. Quella è roba da ricchi. I poveri nati sul mare faranno i marinai.
Un futuro predestinato a cui i giovani uomini si consegnano con rassegnazione e spirito di doveroso servizio.
Non era così per Nandon. Un giovanotto alto dalla pelle un po’ olivastra che attendeva con trepidazione il giorno del suo primo imbarco da marinaio.
Per Nandon il mare era un amico. Un vero amico. Le parole di nonno Berto avevano mosso qualcosa in lui durante le gite in barca. “… vedi Nandon ci sono due tipi di marinai. Gli zelanti e gli innamorati.
I primi si abbandonano al loro destino come ad un dovere ineluttabile e vivono per attendere l’ora del ritorno a casa. Sono bravi, compiono con precisione e cura il loro lavoro ma non conoscono il mare. Gli innamorati, invece, si nutrono di ogni momento passato a contatto col mare. Ne sanno cogliere la bellezza, ne apprezzano ogni spruzzo, sanno fermarsi sul molo a sentirne il profumo. Lo assaporano come un bicchiere di vino invecchiato, lo sfiorano con la delicatezza con cui sfiorano il volto della loro amata che li attende.
Gli innamorati hanno col mare un rapporto vero. Ne ascoltano la voce, ci si arrabbiano, gridano con lui. Riversano nel dialogo col mare passione e mitezza.
Gli innamorati muoiono spesso in mare perchè non potrebbero mai abbandonarlo! E’ parte di loro”.
Da nonno Berto, Nandon aveva imparato la vita. A respirare coi tempi del giorno e della notte. Aveva in corpo i ritmi del sole, della luna, delle stagioni. E l’amore passionale per il mare!
A Nandon poco importava se il suo incarico in nave sarebbe stato di mozzo, di addetto alla sala macchine, di sguattero in cucina. In fondo era solo una scusa come tante per unirsi al suo mare.

Il giorno del primo imbarco era una festa. L’unica in un paese di gente sobria che preferiva il lavoro duro al divertimento.
Quella, però, non se la perdeva nessuno.
Era inoltre un’occasione per le ragazze di presentarsi ai giovani marinai e darsi appuntamento al loro ritorno. Quasi una sorta di promessa di fidanzamento.
Nandon si presentò tra i primi al luogo dove tradizionalmente si teneva la festa del saluto.
Cappello piatto stile inglese, pantaloni neri retti da indistruttibili bretelle e camicia bianca, sotto la quale si intravedeva la canottiera di cotone, tipica del marinaio.
Il ciuffetto che scendeva dal cappello, la sigaretta fissa in bocca e le mani in tasca quasi a camuffare i suoi 17 anni di fronte agli ufficiali che sarebbero, da li a poco, venuti per la selezione e per definirne la destinazione di imbarco.

Il cuore di Nandon era innamorato per natura. Perdeva ore a guardare le cose più genuine e belle che la natura gli offriva. E poi i volti della gente. Di quelli Nandon non se perdeva neppure uno: volti, i più vari nei quali riconosceva la bellezza. Tra le rughe di un vecchio consumato dalla vita, negli occhi freschi di una giovane fanciulla che ad essa, invece, si affacciava. Nandon si inabissava nella gente. Un vero cercatore di bellezza, di quella genuina, sana. Di quella che esula dal criterio a cui tutti ormai siamo abituati. Un puro. Che scopriva il bello oltre le forme.
Non riusciva a non appassionarsi alle persone che incontrava, alle situazioni che precipitavano lungo il suo andare.
Ma con tutta sincerità Nandon non aveva intenzione di incontrare una ragazza con la quale darsi appuntamento al ritorno. Non riusciva ad avere il cuore diviso. Il mare lo stava attendendo e lui era intenzionato a rispondergli con tutto se stesso.
Una promessa di fidanzamento avrebbe frenato la sua passione per il mare e lo avrebbe trasformato in un marinaio zelante che attende il ritorno a casa.

Quando la folla del paese arrivò, Nandon preferì ritirarsi in un angolo della locanda a consumare con calma il suo boccale di birra.
Il mare, l’unico pensiero. Quel mare così ben conosciuto che aveva scandito i tempi delle sue giornate. Quel mare che da lì a poco sarebbe divenuto l’unico compagno della sua vita.

Solo la flebile voce di Carlo s’inserì tra i suoi pensieri. Un bambino di 4 anni che probabilmente trovò in Nandon un volto rassicurante al di là della sigaretta e della birra.
“non trovo mia sorella”.
Abbastanza per un cuore innamorato. Sufficiente per dimenticare pensieri e sogni e farsi carico della nuova necessità di qualcuno. Benché sconosciuto!
“La troviamo subito.” Fu la risposta di Nandon alla richiesta implicita di Carlo.
La ricerca di Nandon e Carlo varcò i confini della locanda spingendosi fino al molo.
Il tempo, intanto, si faceva sempre più breve.

Le ombre della sera erano calate e gli ufficiali, che avrebbero arruolato i ragazzi del villaggio, si stavano avvicinando al luogo della festa.
Un pensiero sfiorò Nandon: come potere salire su una nave senza avere trovato la soluzione al problema del piccolo amico?
Partire era la realizzazione del suo sogno. Trovare la sorella di Carlo una necessità immediata.
Intanto le lussuose macchine degli ufficiali erano arrivate e il lento spegnersi dei rumori della festa era segno che la selezione era iniziata.

Addio sogni di gloria. Fu il suo primo ed unico pensiero. La decisione giunse da sola. Il cuore innamorato di Nandon non avrebbe mai potuto abbandonare Carlo neppure se la posta in gioca era la realizzazione del sogno. Quando questo pensiero si fece più terso nella mente, si inginocchiò davanti a Carlo, ne asciugò le lacrime e lo rassicurò. “Tranquillo. Troveremo tua sorella. Anche se dovessimo cercarla tutta la notte”.
Il piccolo si rasserenò. Ancora un’occhiata malinconica alla piazza dove ormai la selezione era già avviata.

Il tempo di cacciare via le ultime malinconie ed una voce interruppe il loro andare dissennato “Carlo, Carlo”.
Il piccolo fece scivolare la sua mano fuori da quella di Nandon e prese correre nella direzione della voce.
Nandon si gustò la scena da lontano. Si commosse e pensò “vale quanto una vita in mare”. I due si erano ritrovati. Attese l’arrivo dei due ragazzi ancora confusi. La giovane si presentò con occhi bassi di imbarazzo.
Elisabetta, la sorella tanto cercata, ebbe appena il coraggio di dare un’occhiata al volto di Nandon e scusarsi per il tempo perso col fratello.
Qualche coccola a Carlo e il pensiero di potercela ancora fare ad imbarcarsi travolse letteralmente Nandon. “Ora devo andare”. Disse fissando gli occhi di Elisabetta che non si fece scappare l’occasione: “grazie per tutto. Ma non mi hai detto il tuo nome. Come ti chiami?”.
Nandon prese a correre con la mano sul cappello che tentava di prendere il volo. Dopo alcuni passi veloci si volto e gridò “Nandon. Mi chiamo Nandon. Il marinaio”.

Evidentemente arrivò in tempo perché in paese nessuno lo rivide.
Una sorta di angelo che compare una volta, fa un regalo a qualcuno e va via per sempre.
Come quel ragazzo dalla pelle un po’ olivastra, dal volto pulito, mascherato da adulto che si commuove facilmente. Che corre verso il suo sogno dicendo di chiamarsi Nandon. Nandon, appunto. Il marinaio.

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