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Per sempre

di Davide Stocovaz
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Pubblicato il 09/09/2015 17:10:24

Berna si era svegliata sotto un sole potente. I tetti delle case luccicavano. Riflessi dorati si rincorrevano sulla superficie del fiume Aar.

La stanza della clinica aveva le pareti colorate di un azzurro che rilassava la vista.

Il dottor Noah Ruesch, sulla trentina, sedeva al capezzale; lo sguardo rivolto verso l’uomo steso a letto. Questi si chiamava Giuseppe Rondoni, sessantasei anni; guardava a sua volta il dottore con espressione bonaria, velata in parte dalla malinconia.

- La prego di ripensarci -, mormorò Ruesch in un italiano stentato ma comprensibile.

L’uomo spostò lo sguardo su un tavolino, sopra al quale c’era un grammofono che si era portato appresso.

- E io la prego di esaudire il mio ultimo desiderio -, sussurrò Rondoni.

- Cosa posso fare ? –

- Nella borsa vicino al tavolo c’è un disco. Lo metta su; voglio ascoltarlo per l’ultima volta. –

Un paio di mesi fa, medici italiani gli avevano dato la notizia che nessuno al mondo vorrebbe sentirsi dare. Cancro al pancreas. Incurabile.

Giuseppe Rondoni non aveva avuto esitazioni. Riscossa la pensione, era volato in Svizzera per compiere l’ultimo passo prima di soffrire le pene dell’inferno.

Il dottore si alzò e raggiunse la borsa. Ne sollevò fuori una busta gialla, ben sigillata. La aprì, svelando un vinile.

- Di chi è ? -, domandò curioso.

- Lei si chiama Anna Castelli. No, non troverà quel disco in nessun negozio del mondo. Quella che tiene in mano è l’unica copia esistente. –

Ruesch tornò al capezzale, si sedette e chiese, per prendere tempo:

- Mi racconti di lei. –

Rondoni sospirò dall’amarezza, dalla nostalgia.

- Ho avuto diverse donne nel corso della mia vita, senza per questo avere mai avuto la volontà di convogliare a nozze. Ero molto giovane quando conobbi Anna. Deve sapere, dottore, che arrivo da Trieste, la piccola perla dell’Adriatico. In quei anni, la città stava aprendo le braccia a un nuovo, grande evento. Si chiamava Settimana Classica. Io ero nel gruppo di organizzatori. Per una settimana, ci furono appuntamenti sul tema, come concerti nei salotti, mostre nei musei, concerti nei teatri che registrarono un sold out incredibile. Inoltre, c’era un concorso per giovani musicisti. Questi portavano i loro talenti al teatro più grande della città, sotto l’occhio e le orecchie di importanti critici. In palio c’era un’ingente somma di denaro. Lei, Anna, era una di quelle giovani.

Ricordo che si era esibita per terza. Oh, avrebbe dovuto vederla. Un angelo seduto al pianoforte. Lei e lo strumento sembravano fondersi in un’unica creatura sonante. Rimasi di stucco.

Durante l’aperitivo serale mi avvicinai porgendole i miei più sentiti complimenti. Lei sorrise in modo raggiante. Sentii l’anima vibrare, con gli stessi ritmi del cuore. Parlammo del più e del meno, finché lei mi confidò di essere di Milano, di non aver mai visto la città e di sentirsi un po’ sola. Mi offrii per farle da Cicerone il giorno dopo. E con mia grande sorpresa lei accettò. –

Rondoni inspirò ed espirò l’aria. Lo sguardo gli si fece nostalgico.

- Continui -, lo esortò Ruesch.

- Trieste si spalancò davanti a noi. La grande Piazza Unità, dove l’occhio spazia su gran parte del golfo. Il colle di San Giusto, dal quale si vedono scorci cittadini che restano impressi nella memoria. Il parco del Castello di Miramare, con la sua vasta raccolta di piante, fiori e alberi provenienti da tutto il mondo. E la magica Val Rosandra, fuori città, nella quale, tra i suoi vasti pennoni di roccia, scorre il torrente omonimo; i suoi sussurri, tra gli alberi, sono una melodia, ma mai paragonabile alla voce e alle risate di Anna. La scintilla non tardò ad arrivare e ci colse senza che ce ne rendessimo conto. Ci unimmo nella camera del suo albergo. E il giorno dopo, tornai al teatro per ascoltare la sua seconda esibizione -, sorrise dolcemente: - Mandò nuovamente la platea in visibilio. Continuammo a frequentarci durante la settimana finché arrivò il giorno delle premiazioni. Com’era eccitata. Tutta la sua figura vibrava per l’emozione. Arrivò seconda, per pochi punti. Era raggiante da tanta soddisfazione. Quella sera festeggiammo. Poi mi disse che voleva farmi un regalo, ma le serviva un pianoforte e una sala di registrazione. Ottenemmo entrambi attraverso la mia rete di contatti. E il disco che ora tiene in mano è proprio il suo regalo. –

- E poi com’è finita ? –

- Lei dovette ripartire per Milano. Restammo d’accordo di non risentirci, di non rivederci. –

- Perché no ? –

- Quei giorni passati assieme sono stati perfetti. Sono stati l’Amore che si sente nelle canzoni, che si vede nei film, che si legge nei romanzi. Perché rovinarlo con l’abitudine di ogni giorno?, che tira fuori sempre i difetti peggiori delle persone ? No, abbiamo vissuto un sogno assieme. Non volevamo doverci risvegliare. Adesso, la prego, mi faccia tornare in quei giorni. –

Ruesch andò al grammofono e posò il pick up sul vinile.

La composizione tagliò il silenzio. Aveva una struttura con un forte contrasto tra la parte centrale e le altre due. A cambiare non era solo la tonalità, ma la scrittura stessa, che si faceva via via più densa. Alla prima parte, sentimentale e dolce, se ne aggiungeva una inquietante e tormentata. Nella ripresa del tema, ricomparve il motivo di apertura, per finire con un arpeggio per moto contrario. In totale, la composizione durava sei minuti.

Il dottor Ruesch si lasciò talmente prendere dalla musica, dall’immagine romantica e speciale che si era fatto di Anna, da non rendersi conto che Rondoni si era allungato sul comodino e aveva ingerito la pillola di Pentothal in modo fulmineo; poi si era disteso, con lo sguardo rivolto al soffitto.

Quando l’occhio del dottore si posò nuovamente su di lui, aveva un’espressione pacifica. Accortosi dell’accaduto, il trentenne si alzò di scatto e gli si fece vicino.

- Ho avuto una vita piena -, mormorò Rondoni, sorridendo debolmente.

La musica continuava ad aleggiare nella stanza, quando Giuseppe Rondoni chiuse gli occhi per l’ultima volta.

 

FINE


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