Pubblicato il 27/08/2015 11:40:28
La passione per la musica è sempre stata nelle mie corde; forse ci sarà anche una motivazione genetica: il mio bisnonno suonava il clarino nella banda del paese, mentre mio nonno suonava il mandolino e la chitarra.
Sia come sia, verso i 12 anni ho sentito forte il bisogno di suonare; in particolare ero attratto dal pianoforte. Non so dire perché: forse mi affascinava il contrasto tra il bianco avorio e il nero ebano dei tasti (strano… da interista il bianconero già mi disturbava). O magari sognavo i virtuosismi di Arthur Rubinstein e di Arturo Benedetti Michelangeli.
Mi accordo con un maestro di musica, ed inizio a studiare. Naturalmente prima di mettere le mani sullo strumento mi aspettano ore, giorni, mesi di teoria musicale. La mia Bibbia diventa il “Bona”, famosissimo metodo di solfeggio. Trovo analogie tra musica e matematica: la divisione musicale, il valore delle note, le pause, tutto deve rientrare nella battuta, che rispetta rigorosamente il tempo prescelto. E’ un mondo affascinante!
Ricordo il primo pezzo che mi fu dato modo di suonare: “Le petite montagnard”. Un brano ovviamente elementare, e trascritto in partitura facilitata proprio per i principianti. Poi fu un crescendo, fino a brani di media difficoltà di autori importanti.
Insomma, la base più o meno c’era, ma a casa non potevo permettermi un pianoforte, neppure verticale, e quindi ripiegai su una più agevole tastiera elettronica. Ed ogni giorno suonavo, suonavo per il gusto di farlo. Finché con alcuni amici, con i quali avevo in comune la stessa passione, decisi di formare un complesso (all’epoca era quello il termine usato per indicare una band di 4-5 elementi).
Suonavamo per divertimento, e per divertimento componevamo anche musica “nostra”, ma le esibizioni erano limitate alla cerchia di amici e conoscenti. E fu proprio uno di questi conoscenti che, nel 1977, fu pronubo di una svolta epocale. Ci chiese di partecipare ad uno spettacolo di musica, teatro, mimo, che si sarebbe svolto di lì a qualche mese al Palasport di Pisa.
Con l’incoscienza dei vent’anni accettammo entusiasticamente.
Fu un’esperienza che ricordo ancora con tenerezza; conoscemmo un trio comico alle prime armi, i “Giancattivi”, formato da Alessandro Benvenuti, Athina Cenci e Franco Di Francescantonio (che poi sarebbe stato sostituito da Francesco Nuti) e dividemmo con loro il pranzo alla mensa universitaria e il viaggio in filobus – senza pagare – fino al Palasport…
Salendo sul palco per fare qualche prova ebbi un colpo al cuore: mi avevano messo a disposizione un organo Hammond! Un vero Hammond, un Hammond originale, dal suono purissimo, cristallino, affascinante. Sì: ho esordito in pubblico suonando lo strumento sognato da tutti i musicisti!
E, per di più, davanti a qualche migliaio di persone.
Ero emozionatissimo: all’inizio dello spettacolo mi tremava la gamba; non riuscivo a controllare la pedaliera del volume. Poi tutto è venuto naturale, e alla fine i complimenti non sono mancati. Da lì è partito un percorso che per me è durato circa 20 anni, con esperienze di vario tipo: dalle feste di piazza agli spettacoli impegnati, dal complesso al pianobar. Ma questo esordio, a 20 anni, davanti a tantissima gente, e suonando un Hammond (cosa mai più accaduta), è un ricordo che rimane indelebile nel mio cuore malgrado il trascorrere degli anni.
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