I piccoli zoccoli
Un giorno il gatto di compare Pietro catturò un topo che calzava dei piccoli zoccoli ai piedi posteriori. Compare Pietro prese gli zoccoli e li mostrò ad amici e conoscenti, dato che una simile novità non s’era mai vista. Nessuno gli seppe spiegare il fenomeno. Gli consigliarono, tuttavia, di rivolgersi a Donna Trebbicchèra, la strega del paese.
Compare Pietro seguì il consiglio: portò gli zoccoli alla strega e questa gli spiegò che quelli erano zoccoli incantati, chi li calzava, arrivava in capo al mondo, dove nasce la sorgente dei soldi; la gente più fortunata del mondo era riuscita ad arrivare fin lì per attingere denaro come fosse acqua di fontana; ma soltanto chi aveva preso solo quei pochi che gli servivano, era riuscito a conservarli, mentre chi ne aveva presi troppi li aveva visti volar via in poco tempo, come l’acqua non resta in un recipiente bucato. Come un fiume impetuoso, i soldi passano di mano in mano e non si fermano mai… e dove vanno a finire tutti questi soldi... sprofondano entro buche di talpe… queste buche si formano Dio sa come… può capitare che uno è straricco, e il giorno dopo si ritrova senza una lira… tutto sprofondato sotto terra! Ma sicuramente questi zoccoli non ti vanno bene: sono troppo piccoli. Falli misurare ai tuoi figli e manda loro alla sorgente dei soldi.
Compare Pietro aveva tre figli: Peppe, Ciccio e Lazzarino, che era il più piccolo e sfortunato, perché era paralizzato alle gambe.
“Peppe”, disse compare Pietro, “mettiti questi zoccoli, arriverai in capo al mondo, dove nasce la sorgente dei soldi; prendine il giusto, non un soldo di più. Se ce la farai vivremo per sempre felici e contenti”.
Peppe s’infilò gli zoccoli e partì.
Cammina e cammina, saltò fossi e scavalcò ponti, traversò pianure e montagne, campi e boschi, percorse strade e sentieri, dovunque lo portavano gli zoccoli incantati. Fino a quando arrivò in capo al mondo, dove sgorgava la sorgente dei soldi. Era meravigliosa: da una fenditura della roccia zampillavano monete d’oro e d’argento, grandi e piccole, e il suolo, tutt’intorno, ne era cosparso. Una leggera brezza sollevava banconote di vario taglio e di tutti i colori, che volteggiavano nell’aria e s’impigliavano fra i cespugli e fra i rami degli alberi. I soldi s’incanalavano in un ruscello tintinnante, fluivano velocemente, senza sostare mai, smaniosi di disperdersi per il mondo.
Peppe comprò un paio di buoi e un carro, lo riempì di soldi e prese la via di casa.
Compare Pietro, quando vide il figlio tornare con quel carico prezioso, non ci vide più dalla contentezza:
“Quanti soldi ha portato Peppe!” diceva, “un carro intero! Basteranno certo per tutta la vita”.
Ma i soldi, quando ci sono, non bastano mai: compare Pietro ricomprò certi attrezzi che gli servivano; poi aveva una moglie, comare Caterinella, che aveva sempre bisogno di questo e di quello; Peppe e Ciccio andarono a far baldoria all’osteria; regali di qua, prestiti di là, di tutto quello che Peppe aveva portato, rimasero solo il carro e i buoi, che almeno furono d’aiuto per lungo tempo.
Compare Pietro, come vide che i soldi erano finiti, chiamò Ciccio:
“Ciccio”, disse, “mettiti questi zoccoli, arriverai in capo al mondo, dove nasce la sorgente dei soldi: prendine il giusto, non un soldo di più. Se ce la farai vivremo per sempre felici e contenti”.
Ciccio s’infilò gli zoccoli e partì.
Cammina e cammina, saltò fossi e scavalcò ponti, traversò pianure e montagne, campi e boschi, percorse strade e sentieri, dovunque lo portavano gli zoccoli incantati. Fino a quando arrivò in capo al mondo, dove sgorgava la sorgente dei soldi. Comprò un sacco, lo riempì e prese la via di casa.
Compare Pietro, quando vide il figlio tornare con quel carico prezioso, non ci vide più dalla contentezza:
“Quanti soldi ha portato Ciccio!” diceva, “un sacco pieno! Basteranno certo per vent’anni”.
Ma presto anche il sacco di soldi finì: rimase solo il sacco, che, con toppe e rammendi, servì ancora per molto tempo. Gli zoccoli si erano quasi consumati, e furono buttati nel cesto della legna da ardere.
Un triste giorno, Lazzarino sparì. Lo cercarono di qua e di là, per giorni, settimane e mesi: Lazzarino non si trovava; nessuno ne sapeva niente e Donna Trabbicchera, che avrebbe potuto rintracciarlo con le sue arti magiche, era morta. Così compare Pietro e comare Caterinella dovettero rassegnarsi.
Passò tanto, tantissimo tempo. Un bel giorno di primavera, mentre compare Pietro e comare Caterinella stavano seduti davanti la porta di casa, videro un puntolino scuro avanzare lentamente lungo la via. Che è, che non è, era Lazzarino! Avanzava strisciando, con le mani infilate in quel che rimaneva degli zoccoli incantati. Come giunse davanti casa, sputò tre monete d’oro: tutto quello che aveva potuto portare dalla sorgente dei soldi.
Compare Pietro, quando vide il figlio tornare con quella miseria, non ci vide più dalla rabbia:
“Hai fatto tanta fatica per così poco!” disse, “questi spiccioli non basteranno neanche un mese”.
Quel piccolo tesoro sembrava tanto misero che fu custodito gelosamente in una cassettina di legno con la chiave, da aprirsi solo nelle estreme necessità. Furono talmente parchi che, quando aprivano la cassettina, non ricordavano più se e quando l’avevano aperta prima. In questo modo nessuno si accorse che le monete erano magiche, e rimanevano sempre tre; non se ne accorse nemmeno il povero Lazzarino, che se ne andò all’altro mondo, senza che nessuno gli dicesse grazie.
Un giorno il governo decise di coniare una nuova moneta, e ognuno dovette cambiare tutti i soldi che aveva in casa. Mio padre, che aveva ereditato la cassettina, prese le tre monete e andò a cambiarle in banca. Io, che conoscevo tutta la storia, per averla sentita raccontare da mia nonna, dissi a mio padre che le tre monete erano magiche; egli rispose che non credeva alle favole contate dai vecchi, e infine quelle monete, se anche fossero state magiche, sarebbero in ogni caso andate fuori corso, perciò bisognava cambiarle per forza.
Così non mi è rimasto altro da fare che scrivere questo racconto, per conservare, di quel che facevano e dicevano gli antichi, almeno la memoria, che, col passar del tempo, diventa favola; e spero che almeno le favole non vadano mai fuori corso
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