:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sei nella sezione Articoli
gli ultimi 15 titoli pubblicati in questa sezione
gestisci le tue pubblicazioni »

Pagina aperta 347 volte, esclusa la tua visita
Ultima visita il Tue Nov 12 14:31:24 UTC+0100 2024
Moderatore »
se ti autentichi puoi inserire un segnalibro in questa pagina

Chi è il poeta? Che cos’è la poesia?

Argomento: Letteratura

di Nicoletta Bustreo
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutti gli articoli dell'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 22/09/2021 11:19:59

 

Scrive  Annarosa Buttarelli  in Poesia , madre della filosofia  che  Maria Zambrano  compone il suo saggio Filosofia e poesia “ con la compassione di una figlia che vuole ricondurre a casa l’anziana madre , prima che muoia in condizioni di sradicamento “.
Alla filosofa pare  di trovare in Platone il primo architetto che vuole innalzare  un monumento al pensiero astratto , razionale che tende  in alto  , lontano dalla condizione terrena e dai turbamenti che può dare .
Sembra , afferma la Buttarelli , che ciò che le interessa sia raccomandare “il ritorno  ad uno stato dell’essere che è quello dell’ascolto , del sentire , della passività piena di attenzione , se si può usare questa espressione per dire quello speciale stare in presenza dell’altro/a per rintracciare ciò che si vuole dire “.
E’ uno stato in cui cerca di mantenersi chi fa poesia ed è dalla poesia che , secondo Maria Zambrano, nasce ogni capacità  di pensare , cioè di articolare in linguaggio ciò che viene dal fare esperienza , dal sentire , dall’ascoltare , dal contemplare .
Sono estremamente belle le parole che lei dedica al poeta e alla poesia , quando mette a confronto appunto poesia e filosofia , argomento che lei considera urgente in quanto “ oggi poesia e filosofia  ci appaiono come due forme incomplete e ci vengono incontro come due metà dell’uomo :il filosofo e il poeta. Nella filosofia non si trova l’uomo intero , nella poesia non si trova la totalità dell’umano “, (…)perché  la poesia “è incontro , dono , scoperta venuta dal cielo .La filosofia è ricerca , urgente domanda guidata da un metodo “.
E’ in Platone , come è stato detto dalla Zambrano, che inizia” la condanna  della poesia “.
“Ha inizio , così nella cultura occidentale , la vita  rischiosa della poesia ,quasi respinta ai margini della legge , maledetta, costretta a vagare su accidentati sentieri , sempre sul punto di perdesi, esposta al continuo pericolo della follia “.
Maria Zambrano vuole soffermarsi su “ quel drammatico conflitto  “ soffermarsi sulla contesa in atto tra filosofia e poesia , per definire un po’ i termini di un conflitto in cui si batte colui che ha necessità di entrambe .
“Ed è interessante quello che si  sottolinea “necessità di entrambe “ come se la contraddizione non fosse insita nelle due , ma fosse un portato di una speculazione parziale , di un punto di vista che si è affermato sul mondo.
Lo scioglimento di questo conflitto  “aprirebbe la  via verso un modo di vita e di conoscenza “.
Il poeta si attiene alla realtà , non parla del Dolore , ma racconta i dolori degli uomini nella loro  infinita molteplicità, non discute dell’Amore , ma degli amori .Cerca l’unità nella singolarità, ecco perché non se ne distacca mai .
In che cosa consiste l’unità della poesia dunque , tenendo conto che non è la stessa della filosofia ? Forse la sua unità è lo sguardo meravigliato sul mondo .
L’astrazione  di cui si avvale la filosofia nasce da una meraviglia , ma a differenza del poeta , il filosofo cerca di salvare quel mondo di apparenze destinate a finire  ,attraverso l’ascesi , mentre il poeta vive di quelle apparenze e le accetta e con esse la dannazione che ne consegue .Tuttavia quando Platone parla di Omero in realtà invece di definirne i limiti , sembra sottolinearne la grandezza .Scrive , infatti :
Bella immagine venerabile del poeta ,quella che in Omero si configura. Senza aspettare che lo cerchino , va, come la poesia stessa incontro a tutti , che ne sentano o meno il bisogno, a profondere l’incanto della sua musica  sulle ubbie quotidiane  dell’uomo, a squarciare con la luce della parola le nebbie del tedio , a rendere leggera la pesantezza delle ore .Va anche a consolare gli uomini affinché abbiano memoria della loro origine .Anche la poesia ha la sua reminescenza .Va a portare agli uomini la memoria e l’oblio .


Queste parole fanno pensare all’aedo , al cantore omerico e alla sua funzione all’interno del discorso poetico .Due sono i punti in questione :il momento del canto di Demodoco nell’isola dei Feaci ( libro VIII , vv.82 e seguenti )
Questi fatti il cantore famoso cantava :e Odisseo /con le forti mani afferrato il gran manto purpureo ,/se lo tirò sulla testa , nascose i bei tratti del viso :/si vergognava di spargere lacrime dalle ciglia davanti ai Feaci ./Quando il cantore divino smetteva il suo canto ,/toglieva il mantello dal capo , dopo essersi asciugate le lacrime ,/e alzata la coppa a due anse libava agli dei ;/quando cominciava di nuovo e i nobili Feaci /l’incitavano al canto , perché dai suoi racconti gioivano ,/Odisseo singhiozzava di nuovo , dopo essersi coperta la testa ./E  a tutti gli altri sfuggì che piangeva ;/solo Alcinoo lo notò e se ne accorse /sedendo al suo fianco :l’udì gemere cupamente .

In questi versi è espresso il dolore della memoria, del ricordo di eventi passati e dolorosi.
Ma vi è un passo in cui il ricordo non parte da un cantore  e vi è una sorta di rifiuto del pianto liberatorio , catartico , un impedimento  che sembra non concedere alcun spazio ad una rielaborazione del lutto : si tratta della visita di Telemaco a Menealo .Il giovane figlio di Odisseo è alla ricerca di notizie del padre .
E’ il passo in cui Telemaco, Pisistrato , il figlio di Nestore che accompagna il giovane figlio di Ulisse , Menelao ed Elena siedono a banchetto .Prima di raccontare le azioni di Odisseo , l’inganno del cavallo , la donna mescola dei farmaka al vino
Allora pensò un’altra cosa Elena , nata da Zeus :/nel vino di cui essi bevevano gettò rapida un farmaco, /che fuga il dolore e l’ira , il ricordo di tutti i malanni ./Chi l’ingoiava , una volta mischiato dentro il cratere, /non avrebbe versato lacrime dalle guance , quel giorno,/neanche se gli fosse morta la madre e il padre , /neanche se gli avessero ucciso davanti , col bronzo , /il fratello o suo figlio , e lui avesse visto cogli occhi .Tali rimedi efficaci possedeva la figlia di Zeus , /benigni, che a lei Polidamna diede , la sposa di Tone , /l’Egizia .La terra che dona le biade produce moltissimi /farmaci , lì :molti mischiati , benigni ; molti funesti ./Ciascuno è medico esperto più d’ogni /uomo : sono infatti della stirpe di Peone ./E dopo  averlo gettato nel vino e ordinato che lo versassero ,rispondendo di nuovo ella disse :(…)(libro IV , vv 219 e seguenti )
Nel primo e nel secondo caso è sempre il ritorno al  centro del discorso , ritorno fisico o della memoria , un ritorno al tempo trascorso .
Nel racconto del cantore , il pianto scaturisce nelle pause del canto , quando Demodoco smette di cantare , finito l’”incantamento “ , nel secondo caso Elena , bellissima ma non “cantarice “ ha bisogno dei farmaka per lenire il dolore .In lei agisce la modalità materna, del”reinfetamento “  , ma senza una vera elaborazione del passato , del lutto .Il passato “non è morto “ per sempre , per poi essere fatto rinascere nel simbolo , è un passato sospeso che continua a far soffrire .
Nel primo caso invece l’elaborazione ha avuto inizio  .Il canto dell’aedo che riproduce il vissuto   consente ad Odisseo  uno spostamento tra il sé presente e il sé passato  nell’identificazione :un sé presente che vede e si commuove come se vedesse un altro da sé eppure  riconosciuto sempre  come se stesso .E’ in questo momento che il passato , l’evento vissuto , viene considerato come parte altra da sé  perché vi è la constatazione, da parte dell’anima, che “esso non è più” anche se  “è ancora “ma solo  fino alla decisione del soggetto , fino alla sazietà di pianto , alla saturazione .
Il passato viene riscritto dal  racconto del cantore , rivissuto empaticamente e reso “rappresentabile “ (reverie) e restituito .Anche in questo caso il cantore svolge una funzione “materna “ , ma con ben altre modalità (Bion )
Ulisse ( e  in ogni caso , qualunque  soggetto si identifichi nel sentire espresso  nel racconto poetico ) può sentirsi allora empaticamente compreso , non più solo nel suo  vissuto individuale  d’angoscia e di dolore , ma compreso  nella sua essenza d’uomo .Il canto restituisce l’eroe a se stesso .

E’ il saggio Alcinoo che vede e comprende .Chiama i Feaci alle gare e fa condurre per mano anche Demodoco , il cieco aedo, una presenza muta ma significativa .Demodoco ascolta , la sua modalità è empatica .
Essi si misurano nella corsa , nella lotta , nel pugilato e “quando tutti ebbero tratto gioia dalla gara , il figlio di Alcinoo , Laodamante , invita anche Ulisse  Ma provati , disperdi gli affanni dall’animo .Non più sarà lungo il cammino per te,ma la nave ti è stata già tratta e sono già pronti i compagni .
Odisseo si sente beffato   più ancora che gare , ho affanni nell’animo , io che sventure ne ho tante patite e tante sofferte e ora siedo nella vostra assemblea agognando il ritorno , supplicando il re e tutto il popolo
Sembra non aver ancora trovato la fiducia in sé stesso , pare ancora oppresso dall’angoscia del passato .Eppure si ha  l’impressione , leggendo il passo , che sia una fase importante :dopo la rielaborazione del proprio passato  , avvenuta attraverso la narrazione revocatrice dei fatti , è importante “rimettersi in gioco “, recuperare la stima di sé , riconoscere le proprie capacità , le qualità che ci hanno resi quello che siamo .E’ la capacità discriminante di conservare nei nostri affetti ciò che può essere fondante , essenziale , vitale .
Una funzione provocatoria è svolta da Eurialo  che “lo ingiuriò apertamente “, trattandolo non da eroe , ma da mercante “che va trafficando “ .L’animo di Ulisse si irrita  e la sua risposta rivela che il suo animo si è destato dall’afflizione .
(…)io non sono ignaro di gare , /come tu cianci , ma credo d’essere stato tra i primi /finché ho potuto contare sulla giovane età e le mie mani /
Tuttavia, Odisseo afferra un disco  grande e grosso, ben più pesante di quello con cui gareggiavano tra loro i Feaci  che supera il lancio di ogni gareggiante e “il paziente Odisseo “ se ne rallegra , anzi è pronto a gareggiare  ai pugni , alla lotta .Ricorda insomma le sue capacità di un tempo ed è pronto ad esercitarle .Sostiene  di essere abile nel l’arco affermo  di essere molto più forte degli altri /dei mortali , che sulla terra mangiano pane .
C’è però anche un riconoscimento dei limiti , quando dopo aver detto di scagliare “l’asta quanto un altro non tira una freccia “ , afferma di temere che nella corsa qualcuno dei Feaci  lo superi :troppo miseramente fui spossato tra i molti marosi , perché sulla nave non c’erano agi per tutto il tempo , e i miei arti si sono slegati .Parole  che , a guardar bene , non rivelano l’angoscia per il passato doloroso , ma piuttosto un riconoscimento  della propria condizione fisica .Il ricordo può ancora affiorare , ma non può più far male , non può più creare impedimenti che potrebbero nuocergli .Ulisse sta  preparandosi per il ritorno , per nuove prove , per nuove sfide .
Ora  è pronto per gioire .Demodoco viene nuovamente  chiamato , racconterà un fatto  comico , la scoperta degli amori tra Ares e Venere , per opera del gabbato marito Efesto .Il dio  brutto e zoppo con l’inganno riuscirà a sorprendere nel talamo i due  e legarli con invisibili catene e tra gli dei beati s’alzò inestinguibile il riso vedendo le arti dell’abile Efesto .
Con grande sapienza il cieco cantore ha solennizzato il momento della piena ricomposizione dell’animo dell’eroe. E’ guarito dall’angoscia , è pronto per il ritorno .Un canto ha dato inizio al processo interiore , un canto lo ha concluso .
Questi fatti il cantore famoso cantava :e Odisseo/nell’animo suo gioiva ascoltando , e gioivano gli altri Feaci dai lunghi remi , navigatori famosi .

 


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »

I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Nicoletta Bustreo, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.