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Scrive Annarosa Buttarelli in Poesia , madre della filosofia che Maria Zambrano compone il suo saggio Filosofia e poesia “ con la compassione di una figlia che vuole ricondurre a casa l’anziana madre , prima che muoia in condizioni di sradicamento “.
Alla filosofa pare di trovare in Platone il primo architetto che vuole innalzare un monumento al pensiero astratto , razionale che tende in alto , lontano dalla condizione terrena e dai turbamenti che può dare .
Sembra , afferma la Buttarelli , che ciò che le interessa sia raccomandare “il ritorno ad uno stato dell’essere che è quello dell’ascolto , del sentire , della passività piena di attenzione , se si può usare questa espressione per dire quello speciale stare in presenza dell’altro/a per rintracciare ciò che si vuole dire “.
E’ uno stato in cui cerca di mantenersi chi fa poesia ed è dalla poesia che , secondo Maria Zambrano, nasce ogni capacità di pensare , cioè di articolare in linguaggio ciò che viene dal fare esperienza , dal sentire , dall’ascoltare , dal contemplare .
Sono estremamente belle le parole che lei dedica al poeta e alla poesia , quando mette a confronto appunto poesia e filosofia , argomento che lei considera urgente in quanto “ oggi poesia e filosofia ci appaiono come due forme incomplete e ci vengono incontro come due metà dell’uomo :il filosofo e il poeta. Nella filosofia non si trova l’uomo intero , nella poesia non si trova la totalità dell’umano “, (…)perché la poesia “è incontro , dono , scoperta venuta dal cielo .La filosofia è ricerca , urgente domanda guidata da un metodo “.
E’ in Platone , come è stato detto dalla Zambrano, che inizia” la condanna della poesia “.
“Ha inizio , così nella cultura occidentale , la vita rischiosa della poesia ,quasi respinta ai margini della legge , maledetta, costretta a vagare su accidentati sentieri , sempre sul punto di perdesi, esposta al continuo pericolo della follia “.
Maria Zambrano vuole soffermarsi su “ quel drammatico conflitto “ soffermarsi sulla contesa in atto tra filosofia e poesia , per definire un po’ i termini di un conflitto in cui si batte colui che ha necessità di entrambe .
“Ed è interessante quello che si sottolinea “necessità di entrambe “ come se la contraddizione non fosse insita nelle due , ma fosse un portato di una speculazione parziale , di un punto di vista che si è affermato sul mondo.
Lo scioglimento di questo conflitto “aprirebbe la via verso un modo di vita e di conoscenza “.
Il poeta si attiene alla realtà , non parla del Dolore , ma racconta i dolori degli uomini nella loro infinita molteplicità, non discute dell’Amore , ma degli amori .Cerca l’unità nella singolarità, ecco perché non se ne distacca mai .
In che cosa consiste l’unità della poesia dunque , tenendo conto che non è la stessa della filosofia ? Forse la sua unità è lo sguardo meravigliato sul mondo .
L’astrazione di cui si avvale la filosofia nasce da una meraviglia , ma a differenza del poeta , il filosofo cerca di salvare quel mondo di apparenze destinate a finire ,attraverso l’ascesi , mentre il poeta vive di quelle apparenze e le accetta e con esse la dannazione che ne consegue .Tuttavia quando Platone parla di Omero in realtà invece di definirne i limiti , sembra sottolinearne la grandezza .Scrive , infatti :
Bella immagine venerabile del poeta ,quella che in Omero si configura. Senza aspettare che lo cerchino , va, come la poesia stessa incontro a tutti , che ne sentano o meno il bisogno, a profondere l’incanto della sua musica sulle ubbie quotidiane dell’uomo, a squarciare con la luce della parola le nebbie del tedio , a rendere leggera la pesantezza delle ore .Va anche a consolare gli uomini affinché abbiano memoria della loro origine .Anche la poesia ha la sua reminescenza .Va a portare agli uomini la memoria e l’oblio .
Queste parole fanno pensare all’aedo , al cantore omerico e alla sua funzione all’interno del discorso poetico .Due sono i punti in questione :il momento del canto di Demodoco nell’isola dei Feaci ( libro VIII , vv.82 e seguenti )
Questi fatti il cantore famoso cantava :e Odisseo /con le forti mani afferrato il gran manto purpureo ,/se lo tirò sulla testa , nascose i bei tratti del viso :/si vergognava di spargere lacrime dalle ciglia davanti ai Feaci ./Quando il cantore divino smetteva il suo canto ,/toglieva il mantello dal capo , dopo essersi asciugate le lacrime ,/e alzata la coppa a due anse libava agli dei ;/quando cominciava di nuovo e i nobili Feaci /l’incitavano al canto , perché dai suoi racconti gioivano ,/Odisseo singhiozzava di nuovo , dopo essersi coperta la testa ./E a tutti gli altri sfuggì che piangeva ;/solo Alcinoo lo notò e se ne accorse /sedendo al suo fianco :l’udì gemere cupamente .
In questi versi è espresso il dolore della memoria, del ricordo di eventi passati e dolorosi.
Ma vi è un passo in cui il ricordo non parte da un cantore e vi è una sorta di rifiuto del pianto liberatorio , catartico , un impedimento che sembra non concedere alcun spazio ad una rielaborazione del lutto : si tratta della visita di Telemaco a Menealo .Il giovane figlio di Odisseo è alla ricerca di notizie del padre .
E’ il passo in cui Telemaco, Pisistrato , il figlio di Nestore che accompagna il giovane figlio di Ulisse , Menelao ed Elena siedono a banchetto .Prima di raccontare le azioni di Odisseo , l’inganno del cavallo , la donna mescola dei farmaka al vino
Allora pensò un’altra cosa Elena , nata da Zeus :/nel vino di cui essi bevevano gettò rapida un farmaco, /che fuga il dolore e l’ira , il ricordo di tutti i malanni ./Chi l’ingoiava , una volta mischiato dentro il cratere, /non avrebbe versato lacrime dalle guance , quel giorno,/neanche se gli fosse morta la madre e il padre , /neanche se gli avessero ucciso davanti , col bronzo , /il fratello o suo figlio , e lui avesse visto cogli occhi .Tali rimedi efficaci possedeva la figlia di Zeus , /benigni, che a lei Polidamna diede , la sposa di Tone , /l’Egizia .La terra che dona le biade produce moltissimi /farmaci , lì :molti mischiati , benigni ; molti funesti ./Ciascuno è medico esperto più d’ogni /uomo : sono infatti della stirpe di Peone ./E dopo averlo gettato nel vino e ordinato che lo versassero ,rispondendo di nuovo ella disse :(…)(libro IV , vv 219 e seguenti )
Nel primo e nel secondo caso è sempre il ritorno al centro del discorso , ritorno fisico o della memoria , un ritorno al tempo trascorso .
Nel racconto del cantore , il pianto scaturisce nelle pause del canto , quando Demodoco smette di cantare , finito l’”incantamento “ , nel secondo caso Elena , bellissima ma non “cantarice “ ha bisogno dei farmaka per lenire il dolore .In lei agisce la modalità materna, del”reinfetamento “ , ma senza una vera elaborazione del passato , del lutto .Il passato “non è morto “ per sempre , per poi essere fatto rinascere nel simbolo , è un passato sospeso che continua a far soffrire .
Nel primo caso invece l’elaborazione ha avuto inizio .Il canto dell’aedo che riproduce il vissuto consente ad Odisseo uno spostamento tra il sé presente e il sé passato nell’identificazione :un sé presente che vede e si commuove come se vedesse un altro da sé eppure riconosciuto sempre come se stesso .E’ in questo momento che il passato , l’evento vissuto , viene considerato come parte altra da sé perché vi è la constatazione, da parte dell’anima, che “esso non è più” anche se “è ancora “ma solo fino alla decisione del soggetto , fino alla sazietà di pianto , alla saturazione .
Il passato viene riscritto dal racconto del cantore , rivissuto empaticamente e reso “rappresentabile “ (reverie) e restituito .Anche in questo caso il cantore svolge una funzione “materna “ , ma con ben altre modalità (Bion )
Ulisse ( e in ogni caso , qualunque soggetto si identifichi nel sentire espresso nel racconto poetico ) può sentirsi allora empaticamente compreso , non più solo nel suo vissuto individuale d’angoscia e di dolore , ma compreso nella sua essenza d’uomo .Il canto restituisce l’eroe a se stesso .
E’ il saggio Alcinoo che vede e comprende .Chiama i Feaci alle gare e fa condurre per mano anche Demodoco , il cieco aedo, una presenza muta ma significativa .Demodoco ascolta , la sua modalità è empatica .
Essi si misurano nella corsa , nella lotta , nel pugilato e “quando tutti ebbero tratto gioia dalla gara , il figlio di Alcinoo , Laodamante , invita anche Ulisse Ma provati , disperdi gli affanni dall’animo .Non più sarà lungo il cammino per te,ma la nave ti è stata già tratta e sono già pronti i compagni .
Odisseo si sente beffato più ancora che gare , ho affanni nell’animo , io che sventure ne ho tante patite e tante sofferte e ora siedo nella vostra assemblea agognando il ritorno , supplicando il re e tutto il popolo
Sembra non aver ancora trovato la fiducia in sé stesso , pare ancora oppresso dall’angoscia del passato .Eppure si ha l’impressione , leggendo il passo , che sia una fase importante :dopo la rielaborazione del proprio passato , avvenuta attraverso la narrazione revocatrice dei fatti , è importante “rimettersi in gioco “, recuperare la stima di sé , riconoscere le proprie capacità , le qualità che ci hanno resi quello che siamo .E’ la capacità discriminante di conservare nei nostri affetti ciò che può essere fondante , essenziale , vitale .
Una funzione provocatoria è svolta da Eurialo che “lo ingiuriò apertamente “, trattandolo non da eroe , ma da mercante “che va trafficando “ .L’animo di Ulisse si irrita e la sua risposta rivela che il suo animo si è destato dall’afflizione .
(…)io non sono ignaro di gare , /come tu cianci , ma credo d’essere stato tra i primi /finché ho potuto contare sulla giovane età e le mie mani /
Tuttavia, Odisseo afferra un disco grande e grosso, ben più pesante di quello con cui gareggiavano tra loro i Feaci che supera il lancio di ogni gareggiante e “il paziente Odisseo “ se ne rallegra , anzi è pronto a gareggiare ai pugni , alla lotta .Ricorda insomma le sue capacità di un tempo ed è pronto ad esercitarle .Sostiene di essere abile nel l’arco affermo di essere molto più forte degli altri /dei mortali , che sulla terra mangiano pane .
C’è però anche un riconoscimento dei limiti , quando dopo aver detto di scagliare “l’asta quanto un altro non tira una freccia “ , afferma di temere che nella corsa qualcuno dei Feaci lo superi :troppo miseramente fui spossato tra i molti marosi , perché sulla nave non c’erano agi per tutto il tempo , e i miei arti si sono slegati .Parole che , a guardar bene , non rivelano l’angoscia per il passato doloroso , ma piuttosto un riconoscimento della propria condizione fisica .Il ricordo può ancora affiorare , ma non può più far male , non può più creare impedimenti che potrebbero nuocergli .Ulisse sta preparandosi per il ritorno , per nuove prove , per nuove sfide .
Ora è pronto per gioire .Demodoco viene nuovamente chiamato , racconterà un fatto comico , la scoperta degli amori tra Ares e Venere , per opera del gabbato marito Efesto .Il dio brutto e zoppo con l’inganno riuscirà a sorprendere nel talamo i due e legarli con invisibili catene e tra gli dei beati s’alzò inestinguibile il riso vedendo le arti dell’abile Efesto .
Con grande sapienza il cieco cantore ha solennizzato il momento della piena ricomposizione dell’animo dell’eroe. E’ guarito dall’angoscia , è pronto per il ritorno .Un canto ha dato inizio al processo interiore , un canto lo ha concluso .
Questi fatti il cantore famoso cantava :e Odisseo/nell’animo suo gioiva ascoltando , e gioivano gli altri Feaci dai lunghi remi , navigatori famosi .