Tempo lasciato fra libri accatastati, foto ed agende,
appuntamenti mancati, luoghi svuotati.
Ora sei stato spossessato delle tue donne,
degli aromi delle loro bocche e dei fianchi caldi
come il giallo oro degli alberi. Sei caduto sulle mattonelle
con un tonfo , come una cosa che si rompe improvvisamente
o che brucia come se fosse passata una materia incandescente
Avevi già una distanza marmorea, il colore dell’erba
sotto il plenilunio, la bocca abitata dalla notte e
sotto la lingua filamenti di commozione,
come se ti piacessero i dolori,
e quelle cose che sanno di morte e di metallo duro.
Se , adesso, potessi guardare fuori, ti chiederesti perché
ci sono tanti stormi nel cielo, e perché tutte le cose
che si alzano in volo sono così struggenti.
Ma ormai non hai che gli eventi muti dei morti:
il tuo petto è diventato una nave che con la prua apre
i flutti del cielo, mentre gli occhi buoni degli angeli
si colmano, e i battiti delle ali compiono la migrazione
verso l’irreale, navigando tra le stelle come il carro
dell’Orsa maggiore. Ricordi solo qualcosa, per esempio
la beatitudine dei rami fioriti sotto i piedi
per quella tardiva primavera che era ancora ottobre e
penzola nell’aria il tuo sorriso: oh, nessun male ormai,
nessuna pena. Sono tutte cose leggere le tue cose di qui,
Fanno musica, hanno i colori dei bambini.
Parli con la luce con la stessa adorazione dei fiori
che escono dai semi , bucano la terra e si alzano
perché il loro compito è benedire l’aria.
E poi ti volti appena con un gesto tutto bellezza,
Saluti noi che qui siamo rimasti, e sei già così distratto,
come chi più nient’altro vuole o chi sorride nel sogno.
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