LA MIA SOLITUDINE
… E fu così che riaprii quel mio vecchio diario.
Sotto la fodera di carta plasticata a disegnini rosa e dorati, ritagliata a misura da me con tanto amore, c’era, lo sapevo, un po’ s’intravedeva, il titolo: Diario di Liria.
Liria ero io, o piuttosto ciò che rimaneva di me.
C’erano poche pagine già scritte, memorie di momenti di tristezza e sconforto, poi superati. Piccole crisi di un’adolescente, che adesso mi apparivano veramente ridicole di fronte alla ferocia della vita.
Fu con gli occhi bagnati che ricominciai a scrivere.
28 luglio 200…
Scrivo per parlare a qualcuno che non può compiangermi, per sfogarmi, se ci riuscirò; per trovare conforto in un vecchio diario, come davanti a un amico sincero e fedele.
Sfogliando queste pagine non trovo ricordi felici, momenti di gioia, frammenti di serenità. Chissà perché, soltanto il dolore ci fa riflettere, ci fa tacere e pensare, ci fa trovare in noi stessi una parte autentica da testimoniare.
Lui non c’è più. E non è andato via di sua volontà, non era stanco di me, non si era accorto che non mi amava veramente: niente di tutto ciò.
Era il giorno della sua laurea, uno splendido titolo che gli avrebbe spalancato le porte del successo professionale. E io gli sarei stata accanto.
Era andato avanti da solo, per non ritardare, per prepararsi. Poi allo svincolo…
Che strano… non provo rancore verso quel camionista. L’ho visto da lontano, ancora annichilito dal ricordo delle conseguenze di quel colpo di sonno. Il rimorso lo tormenterà per molti anni. Ma è niente di fronte alla mia sofferenza.
Smetto perché non posso più continuare.
31 Luglio 200…
Caro diario, perdonami la mia brusca chiusura dell’altro giorno. Sento la voglia, il bisogno, di scrivere, senza sapere perché. Forse vagamente penso che tu in futuro possa essere utile a qualche altra persona, anche se non ho intenzione di farti leggere da chicchessia per decenni.
Qualche futuro lettore pietoso potrebbe pensare che la tremenda notizia di quel mattino, che doveva essere un’apoteosi della gioia per molti di noi, mi abbia gettata subito in preda alla disperazione.
Uno squillo del telefono, mio padre che risponde, che non comprende, che poi mi guarda con gli occhi bagnati, ammutolito e che si sforza di trattenersi.
Mia madre che gli pone domande sempre più serrate, che gli toglie facilmente la cornetta di mano e parla con voce concitata, con domande urlate, mentre mio padre mi abbraccia in silenzio e poi si lascia andare a convulsi singhiozzi.
La mia prima reazione non fu la disperazione, dicevo, ma l’incredulità: era tutto assurdo, uno scherzo di cattivo gusto. Quello che sembrava profilarsi non era il mio futuro, era una realtà alternativa che non aveva nulla a che fare con me, con noi.
Quel giorno non volli vederlo: lo vidi il giorno dopo, ricomposto nel suo … Era pallido, ma bello, il volto truccato e un sorriso ineffabile. Una parte di me moriva con lui.
Tutta la scena, dei parenti e amici che si susseguivano intorno a noi, ognuno col suo grado di dolore o di partecipazione al nostro, mi sembrò scena di un film. La disperazione di mia suocera commuoveva i più intimi. Di me sussurravano:
- E’ forte, distrutta ma forte.
Io non avevo la forza di ribellarmi a quella falsità. Sì, guardavo mia suocera, cioè la mia mancata suocera, e mi chiedevo se il dolore di una madre può essere più lacerante di quello di una compagna innamorata, che lo ha liberamente scelto per trascorrere la vita insieme.
Com’è triste, com’è assurdo, com’è buffo confrontare i dolori! E com’erano in fondo simili i nostri: entrambe soffrivamo la perdita di qualcuno che, in modo diverso, era, era stato carne della nostra carne.
Qualche altro, non ricordo chi, bisbigliava:
- Lei troverà un altro, ma per la madre…
- No! Non ci sarà nessun altro! No! – avrei voluto gridare. Invece me ne rimanevo seduta quasi in disparte, insonne e digiuna da ventiquattrore, a sentir dire in sordina che ero forte. Mio padre ogni tanto mi portava un bicchier d’acqua e mi forzava a berne almeno un sorso.
- E’ così giovane! – bisbigliava qualcun altro, come a giustificare quel dolore lancinante, mentre io pensavo a quanto doveva aver sofferto nostro Cristo in croce: Signore, perdona loro, perché non sanno quello che dicono.
Caro diario, nessuna penna può scrivere su carta bagnata…
12 Agosto 200…
Le mie cugine mi fanno uscire spesso, mi accompagnano al cimitero, poi mi portano in giro, al mare o in montagna.
Io preferisco la montagna, un po’ più fresca, molto silenziosa. Appena posso mi siedo su un masso o un muretto e mi raccolgo in silenzio, molto meglio che al cimitero.
Mi chiedo che cosa posso fare per lui, comprendo che nelle mie parole può un po’ continuare a vivere e ne parlo. Mi ascoltano in silenzio. Quando sto per commuovermi, mi sento dire:
- Lui non ti vorrebbe vedere così.
L’effetto di queste parole è esattamente il contrario.
24 Agosto 200…
Oggi siamo stati in chiesa: era il trigesimo. Ho ascoltato il prete parlare bene di lui, sforzandosi di dire quello che sa. Ma sa poco, e male.
Non c’era molta gente in chiesa, non la folla soffocante del primo giorno. Mi sento guardata e io a mia volta guardo la mia mancata suocera: lei si sta rassegnando nella fede. Io mi sento una vedova bianca.
Sono andata a trovarla spesso, in questo mese, e le ultime due volte lei cercava di confortarmi, senza riuscirci:
- Lui ti guarda e non ti vuol vedere così.
Io ho deciso che da domani rialzerò la testa, per lui, per non essere commiserata, per non darla vinta alla morte.
Con mia suocera resterò amica, per tutta la vita.
7 Settembre 200…
Caro diario, ti ho trascurato senza accorgermene. Sono stata quasi sempre a letto, con la scusa del caldo, a ricordare. Poi ho deciso di darmi qualche scopo, nella vita.
Da oggi tenterò di essere come lui vorrebbe: piena di vita. C’era una collega all’università che voleva studiare con me: in questo momento è la persona giusta, perché voglio portare a termine gli studi. Sono pochi esami e lui sarebbe fiero di me. La compilazione della tesi sarà un ottimo mezzo per distrarmi.
Adesso devo prepararmi per ricevere la collega.
25 Ottobre 200…
Ho superato tre esami, Gino! E ho subito chiesto la tesi. Puoi essere orgoglioso di me. Sono anche entrata a far parte del gruppo di amicizie della mia collega, ragazze e ragazzi grandi, maturi, saggi. Ti sarebbe piaciuta, questa compagnia. Amano gli sport, la vita all’aria aperta, l’arte, sono molto seri.
12 Novembre 200…
La mia amica Anna, la collega, mi tratta con molta delicatezza, ma oggi mi ha fatto notare che il nero mi sta male, visto che sono quasi un grissino. In effetti sono molto dimagrita. Ho cominciato a usare il marrone e il beige, perché capisco che il dolore si porta davvero nel cuore, in maniera indelebile.
18 Dicembre 200…
Studiando in maniera forsennata, ho superato altri due esami e ora lavorerò sulla tesi. Frequento regolarmente il gruppo di amici di Anna, tranne che per le feste o le discoteche. Ai margini del gruppo c’è un giovane vedovo con un bambino, un certo Fausto. Credo che abbia oltre trent’anni. Il bambino ne ha tre ed è tirato su dalla nonna. E’ un bimbo bello e affettuoso. Forse per la reciproca perdita, sono entrata in sintonia, con questo giovane uomo. Ho avuto anche il coraggio di chiedergli della moglie. Mi ha detto:
- Non potrò mai dimenticarla, ma il tempo è galantuomo e lenisce ogni dolore. Per un anno e mezzo l’ho rimpianta disperatamente, poi mi sono ritrovato esausto: anche il dolore stanca.
Io non mi sono mai stancata del mio dolore.
6 Gennaio 200…
Caro diario, il Natale è stato triste, anche se tentavo di essere allegra. Poi il nuovo anno mi ha fatto capire che la morte di Gino fa parte della storia ormai: l’assurdo è diventato fatto storico, reale. Ho riconfermato in me l’impegno di essere vitale e gioiosa, come Gino mi vorrebbe. Ho anche ripreso qualche chilo. Sono stanca di soffrire, forse ha ragione Fausto. E poi… il dolore non lo fa tornare, non lo fa parlare. Darei dieci anni della mia vita per averlo ancora un intero giorno con me, ma questo è un sogno impossibile.
2 Febbraio 200…
Fausto parte frequentemente per brevi trasferte. In tali occasioni mi reco spesso a casa di sua madre per dare compagnia al piccolo Marcello e farlo giocare con me. Sua nonna me ne è grata.
L’altro giorno Fausto mi ha telefonato da Trieste per ringraziarmi. Ci sono state molte pause, nel nostro dialogo, ma per un momento mi sono sentita felice di essere compresa da qualcuno.
Quando gioco con Marcello penso che sarebbe stato bello avere un bimbo mio da Gino, e a volte rimpiango di non averlo voluto quando era ancora possibile. Come si cambia!
Spesso incrocio lo sguardo della mamma di Fausto, mentre gioco col bimbo, e il suo sorriso mi dice che vede in me la nuora che ha perso, annegata, credo. L’altra volta mi son data coraggio e le ho chiesto com’era. Mi ha risposto che non era giovane come me, né così bella: - Ma per tutti noi era bellissima.
Anche Gino era bellissimo.
11 Marzo 200…
Ieri abbiamo fatto una gita in quattro: Anna, il fidanzato, io e Fausto. Ero un po’ in imbarazzo e l’ho rimproverato di non aver portato Marcello. Anna a sua volta ha rimproverato me:
- Sarebbe stato fuori luogo e si sarebbe annoiato.
Fausto è molto discreto, ma ho notato che è più sereno: s’illumina sempre in viso quando mi vede arrivare. Io mi sento sempre più in imbarazzo e ho deciso di evitare la sua compagnia, ancorché gradevolissima; però non trascurerò Marcello durante le assenze del padre. Il bimbo mi chiama zia e ha bisogno di tanto affetto. E io sento il bisogno di darne.
10 Maggio 200…
Ieri Marcellino, come lo chiamo io, ha compiuto quattro anni e lo abbiamo festeggiato a casa sua. Fausto ha un grazioso appartamento, in un piccolo condominio in periferia, nuovo e un po’ rilevato. C’è una splendida vista sul lago, da un terrazzo pieno di piante e di fiori. Avrei voluto anch’io una casa così.
La mamma di Fausto ha raccolto tutti i bambini del condominio e alcuni cuginetti. La sera, mentre rassettavamo, Fausto mi ha detto che ha deciso di mandarlo all’asilo. Ci sono rimasta male, sino a quando non mi ha spiegato che lo ritiene utile per lo sviluppo psichico e la socializzazione del bambino, e vuol mandarlo almeno di mattina. Gli ho detto:
- Allora lo accompagnerò io e lo prenderò io all’uscita. In quegli orari tu sei al lavoro.
Mi ha guardata in modo strano, con curiosità e interesse. Io ho distolto lo sguardo, chiedendomi con quale diritto mi intromettevo. Fausto mi ha tolta dall’imbarazzo ringraziandomi vivamente, ma imponendomi di delegare a ciò sua madre quando io avessi avuto impegni. Io stessa mi chiedo che cosa il mio istinto voglia farmi fare.
18 Giugno 200…
Sono laureata! E’ da due giorni che festeggio, ridendo anche da sola. Unica nuvola l’assenza di Gino. In verità sono stata agitata e nervosa sino a quando non mi sono seduta nell’aula magna ad attendere il mio turno. Poi ho capito che temevo una seconda disgrazia, e che non ho abbastanza fede, altrimenti sarei stata felice di raggiungerlo in Cielo.
C’erano tutti i parenti stretti e gli amici più intimi, compreso Fausto. Il suo è stato il regalo più gradito: una custodia in vera pelle per il mio diario, per te, caro quaderno delle mie confidenze! Ma quando gliel’ho detto o quando l’ha capito, che tengo un diario? Forse mi conosce più di quanto io immagini.
A Settembre cercherò un lavoro, ma per questa estate voglio godermi l’ultima stagione di libertà. I miei mi regaleranno un viaggio all’estero, che farò con un’amica single come me: speriamo che sia disposta a spendere la cifra che i miei genitori vogliono mettermi a disposizione!
2 Luglio 200…
Rossana ha scelto la Francia, così siamo a Parigi. Avrei voluto venirci con Gino, invece ho potuto portare soltanto il mio diario, con la fodera in pelle di Fausto.
E’ una bellissima città dal fascino sottile: è un piacere sentir parlare la mia amica in francese con i parigini. Visiteremo anche i dintorni, senza fretta, gustando tutto, non solo la splendida cucina.
Ho telefonato a Marcellino, che ha reclamato il mio rapido ritorno. Mi si è stretto il cuore. Poi mi ha parlato Fausto, affettuosamente. Io… io mi rifiuto di pensare, di riflettere, di guardare in me, spaventata da ciò che potrei leggervi.
Qualche volta Rossana mi osserva, sorridendo sorniona.
11 Luglio 200…
Ieri sono tornata al mare, per la prima volta dopo la perdita di Gino. Indossavo un costume nuovo, blu scuro, intero e molto castigato. Mi è sembrato già troppo scoprire le mie gambe bianche e la mia schiena dritta, nell’assenza di Gino. Come si cambia!
Ho fatto un bagno veloce, colpita dal freddo dell’acqua: una nuotata verso il mare aperto e basta. Gli amici mi hanno coinvolta poco nella loro allegria.
18 Luglio 200…
Oggi stavo quasi per raggiungerti, Gino. C’era il mare molto mosso, ma io ho fatto il bagno lo stesso, affascinata da tutta quella schiuma. Le onde sembravano risospingermi alla riva, ma io testardamente nuotavo verso il mare aperto.
Poi ho bevuto, un’acqua salata e amara, e ho tossito, mentre l’onda successiva si avvicinava alta e terribile. Ho capito di essere in difficoltà e mi sono messa sulla schiena. Mi sentivo portata su e poi giù, mentre il sale mi bruciava in gola. Appena ho potuto, ho urlato:
- Aiuto!
Non potevo vedere la riva, ma appena l’onda successiva mi portava su, ripetevo il mio grido. Stupidamente la mia mente non trovava di meglio da fare che contare i gridi: tre, quattro, cinque…
“Dopo il settimo non griderò più”, ho deciso, e ho cominciato a guardare il cielo per intravedere il percorso da seguire per raggiungere Gino. Avrei fatto la fine di quella ragazza, la moglie di Fausto. Poi ho pensato a Marcellino e il dolore mi ha lacerato il petto.
A un tratto qualcosa, qualcuno è passato accanto a me, dicendo: - Sono qui!
Si è messo dietro di me e mi ha avvinghiata saldamente con un braccio. Era Fausto, e ha cominciato a nuotare con un solo braccio verso la riva.
Io ero stranamente cosciente del pericolo: “Perché, Fausto, perché… Se moriamo entrambi, il bimbo non avrà più nessuno. Non hai potuto salvare tua moglie, non potrai fare nulla per me. Vai, non importa.”
Fausto rallentava, non ce la faceva. Io pensavo ai corsi di salvataggio, seguiti nelle acque calme di una piscina, come un gioco, e mi è scappata una risata. Fausto non ce la faceva più e io sono riuscita a farfugliare: - Marcellino… vai, vai!
Fausto si è fermato: voleva riposarsi un attimo, riprendere fiato? Era morto? Ho tentato di voltarmi, ma mi ha stretta più forte.
All’improvviso una strana cosa si è materializzata davanti a noi, una specie di barca, un gommone, con tre persone a bordo. In un attimo hanno tirato su me, poi Fausto, esausto per colpa mia. Avevo rischiato di far morire il padre di Marcellino! L’ho guardato:
- Perdonami….
Mi ha risposto con una carezza.
20 Luglio 200…
Ci siamo rivisti in un corridoio dell’ospedale, dopo ventiquattrore di osservazione. Ci siamo seduti su una panchina, convinti di essere fuori posto. L’ho ringraziato educatamente. Si è schernito dicendo che l’avrebbe fatto per chiunque.
- Non dovevi farlo per nessuno, Fausto: tu hai un figlio piccolo, hai dei doveri, il gommone è un mezzo veloce…
Tace, poi con uno sforzo mi dice, guardando lontano:
- Per Giulia non feci in tempo: ero al bar per far riscaldare il latte del bimbo. Mi venne incontro mia madre con Marcello in braccio, dicendomi di correre a salvare Giulia. Arrivai che la stavano issando in barca, cianotica. La respirazione artificiale non sortì alcun effetto, e nemmeno le apparecchiature dell’ambulanza, e nemmeno i medici dell’ospedale… Non volevo che accadesse anche a te.
- Io non sono… tua moglie, Fausto. – riesco a dire. Si volta a guardarmi serio:
- Non volevo che accadesse anche a te.
Gli devo la vita: la devo a qualcuno che merita molto più della mia vita. Io vorrei, ma non posso dargli nulla: lo capisci anche tu, vero, caro diario?
25 Luglio 200…
E così, dopo un anno esatto dalla tua morte, sono di nuovo qui, in mezzo a tante croci, per l’ennesima volta, in un giorno particolare.
Tu non ritornerai, non in questa vita. E non rispondi alle mie parole d’amore, non puoi. Aveva ragione Fausto: anche il dolore stanca.
“Sono stanca, Gino, stanca di soffrire, di ricordare la nostra realtà, i nostri sogni. Devi lasciarmi libera, Gino.”
Scosto il diario perché non si bagni. Una vecchietta più in là mi guarda e si rattrista di più. Io accarezzo il marmo là dov’è scritto il tuo nome. E mi deprimo, mi viene il mal di testa.
“Fammi venire lassù, intercedi per me, fa’ che non arrivi all’uscita: sarebbe più giusto. Oppure… ridammi la libertà, Gino, dammi la forza di vivere, dopo di te, anche se non ti dimenticherò mai.”
Qualche nuvola gioca a nascondino col sole, mentre io guardo il viso di Gino immobile nella piccola foto.
“Dammi un segno, Gino.”
Vado via lentamente, scendo lungo il vialetto, poi incrocio un vecchio e mi sposto verso la brulla siepe per lasciarlo passare. Mi accorgo che la mano sinistra si è impigliata, poi si libera, ma fa male e la porto davanti al mio viso: sanguina, ci sono graffi su tre dita.
Ma soprattutto manca la fedina.
Torno indietro, tento d’individuare il rametto che mi ha graffiato, guardo nel terreno sottostante, ma non riesco a trovarla. Eppure dev’essere lì. Mi sento nuda, senza la mia fedina.
Poi penso che era tempo di toglierla, quella fedina: qualcun altro la troverà e ne farà buon uso. E mentre un raggio di sole illumina la mia mano sanguinante, penso che forse ho avuto un segno.
Alla fontanella sciacquo la mano, l’asciugo con i fazzolettini di carta che porto sempre in borsa, quindi avvolgo le tre dita col mio bianco fazzoletto di stoffa: a casa disinfetterò le piccole ferite.
Passo sotto gli archi di uscita del cimitero e il sole, alto e forte, mi picchia sulla fronte.
Chiudo il diario.
7 Settembre 200…
Forse è giunto il momento di metterti da parte, mio caro diario, perché la gioia non dà spazio ai diari.
Stamattina Fausto si è dichiarato, con fervore. Poiché non è più un ragazzino, mi ha anche detto:
- Vogliamo provare a unire i nostri cammini?
Poi mi ha baciata e io ho capito di poter di nuovo amare.
F i n e
Michele Fiorenza
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