Fatale menzogna
Intagliato da un ramo d’ulivo
quel piolo nodoso ho infisso profondo
fin nel centro del cuore
ove s’incontrano fiumi e maree,
lì termina la rotazione del mondo;
le certezze son solo dolorosa memoria.
Eri il mio premio alla vita, l’uccelletto gioioso
il menestrello dell’alba gitana
con passo incerto al mattino discendevi le scale
la manina a mò di vedetta a proteggerne l’occhi
( ancora sperduti nell’oceano dei sogni)
dal vello gaio e dorato che ti copriva di luce
spesso il buongiorno cadeva nel vuoto
(miraggio stupendo sparivi diritta nel bagno)
non capivo se fossi donna o bambina.
Amavo l’allegro disordine
il tardivo sollazzo a cui ti inducevi, sempre,
ed io ribollivo da vecchia teiera
mi quietava un sorriso, pagliuzze dorate riempivano il cuore.
Il tuo corpo tornito, mirabile opera,
per ogni singola curva, ogni delizioso incavo
gli occhi chiudevo a fermare il piacere;
quel dì ricordi? vestita di fiori, giallo e d’azzurro
dissi sei la mia primavera, l’infinita colorata stagione.
Irriverenti, scostumati occhieggiavano lame lucenti
dai rami del pruno selvatico
profanandoti in trasparenze divine
“si sa malizia è nome di donna
trascende le armi dell’uomo imperioso
piegato al volere del turbine irideo”
la bruciante passione guidò le mie braccia
a sollevarti da farfalla impaziente
prodiga di allegre proteste che il desiderio acuivano.
Fu talamo addobbato di sete preziose il tavolo in cucina
(il letto lontano, posto agli antipodi)
aromi di spezie attizzavano il rogo dei sensi;
carezzavo i polpacci le tremule cosce le turgide natiche
soffermandomi spudorato a godere dell’ansimo
dell’estatico istante che toglie la volontà di fuggire…
breve volo che brucia le dita
nelle vene ora scorre impetuosa l’ira infernale.
Silfide amara, svanita nel miraggio insidioso
nella fatua menzogna di boschi inconclusi
“le mie braccia ora son nude”.
Dio pregai non ti portasse lontano da me
dopo, solo imprecai quel Dio sordo e crudele.
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