Ho un milione di pesche noci da regalarti.
E limiti considerevoli che mi opprimono.
Nelle poesie che scrivo
parlo sempre di me
e mi dà fastidio,
così ora scrivo di te
ma in uno stile incomprensibile,
un non-sense alla Carroll,
ma con molta matematica e teina in meno.
Del resto oggi compi gli anni
e fai tanta fatica - mi racconti -
a svegliarti presto la mattina
per andare a lavorare
o per guardare l'alba,
che non sai più che aspetto abbia
dal momento che non l'hai più incontrata
dopo quella volta che ci siamo imbattuti in lei,
assieme io e te.
Fatto sta che hai vent'anni meno uno
e gli orologi da polso non li hai mai portati
e quel buffo cerchietto rosso che tanto amavi
non lo metti più tra i tuoi capelli di seta scura.
E a Venezia com'è che ci son sempre le gondole
anche quando c'è brutto tempo?
"E' come l'Inghilterra con il sole!"
ti ho detto stupito una volta, da semi-sbronzo,
ma pensavo solo alle tue guance rosee e morbide,
non di certo al meteo del nord Europa.
Di che parlavo poi?
Forse della felicità autentica.
Come quando ti svegli e credi di aver in testa il senso stesso della vita,
come un'illuminazione,
e pensi: "Massì, è così! Com'è che non ci si è mai arrivati prima?"
e vuoi scrivertelo per ricordarlo e poterlo divulgare agli altri,
ma non c'è mai una penna
mai un foglio
mai un modo.
Così, lo perdi, il Senso.
Lo ritrovi un attimo, ma è un'illusione.
Obliato per sempre,
per sempre nel vago "ce l'ho sulla punta della lingua", come
il tuo nome che incido sui banchi delle aule delle scuole di tutta la città.
Troverai la torta al cioccolato e i fiori dai nomi improbabili in mare aperto.
Sappi che sono un mio pensiero, un mio regalo, un mio gioioso dolore.
Forse dovrei smetterla di dedicarti poesie, cristosanto.
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