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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Raffaela Fazio

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 17/04/2021 15:49:21

 

L’autrice qui intervistata è Raffaela Fazio [fotografia di Dino Ignani], prima classificata al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, VII edizione 2021, nella Sezione A (Poesia)

 

*

 

Ciao Raffaela, come ti presenteresti a chi non ti conosce? Qual è la tua terra di origine?

 

Sono una ex-apolide (dai 19 ai 29 anni ho vissuto in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Belgio, e mai più di 2 anni di seguito nello stesso paese), una sedentaria per caso (da 20 anni mi trovo a Roma, nello stesso lavoro, a cui sono approdata nella maniera più inaspettata), e una neo-nostalgica della mia Toscana (ad Arezzo ora torno sempre più volentieri). Molte cose sono cambiate nella mia vita, tranne l’amore per la poesia, presente da quando avevo 7 anni. Oltre alla poesia e alle lingue, mi sono appassionata in particolare all’arte e alle scienze religiose. Sono curiosa di tutto ciò che mette in moto il cervello e il cuore, anche a costo di perdere a volte l’equilibrio. La vita continua a sorprendermi, in positivo e in negativo. Le mie esperienze più dure mi hanno comunque insegnato a concentrarmi sull’essenziale e a rimanere fedele alla mia coscienza. Ho due figli adolescenti, Juliette e David, che sono la sfida più bella e più faticosa.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?

 

Ho scoperto tardi Il Giardino di Babuk, perché a lungo i concorsi non mi hanno interessata. Pubblico dal 2008, ma ho partecipato a un premio per la prima volta nel 2019 (d’altronde la prima presentazione di un mio libro è avvenuta solo nel 2017). Per anni ho scritto e letto poesia rimanendo abbastanza in disparte, limitandomi all’intimità del cartaceo, senza ricercare altri contatti. Nonostante permanga in me una certa diffidenza di fondo nei confronti degli eventi sociali organizzati intorno alla poesia, col tempo ho imparato ad apprezzarne l’utilità come canali di confronto/feedback e (in rare, fortunate occasioni) come opportunità di incontri che poi sfociano in amicizie (se vi è una reale frequentazione). L’anno scorso ho deciso di partecipare al Premio Il Giardino di Babuk, perché mi è piaciuta l’idea dell’assoluto anonimato (le poesie non sono in nessun modo riconducibili all’autore, perché mai pubblicate, neppure su fb, su blog o altri canali non cartacei). In generale, penso che i concorsi servano a far circolare i testi e, se questi vengono premiati, a conferire loro maggiore visibilità. Due aspetti sicuramente apprezzati da ogni autore. Tuttavia, credo che non si dovrebbe mai dimenticare che la visibilità non è il risvolto automatico della qualità.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formata e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Dato che il mio interesse per la poesia è nato prestissimo, i primi autori sui quali mi sono formata sono quelli studiati a scuola. Ripeto spesso che i vecchi amori non si dimenticano mai. Tra questi, gli ermetici (da Ungaretti a Luzi) e i simbolisti francesi. Però, alle elementari, ricordo anche che Pascoli mi colpì per la capacità di addensare il mondo in un dettaglio, e Leopardi per quella, quasi opposta, di aprire il dettaglio alla sconfinatezza (solo in seguito ne ho apprezzato la disincantata resilienza). Ora rileggo spesso Rilke, Tagore, Salinas, e le mie poetesse preferite: Antonia Pozzi, Emily Dickinson, Hilde Domin. Poi la poesia polacca, come la Szymborska, Zagajewski, Twardowski. La lista è ovviamente più lunga, e in crescita continua.

 

 

Secondo te quale “utilità” e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Lo scrittore, a mio parere, dovrebbe mantenere vivo ciò che esiste di più umano nell’umano. Ad esempio, la capacità di provare empaticamente dolore o gioia, indignazione o gratitudine. Dovrebbe far sorgere domande in chi legge, e offrire piste alternative, capaci di scuoterlo dal torpore, dall’acriticità o dal sentire omologante. E credo che, tra le sue responsabilità, vi sia anche quella di far trasparire la bellezza (intesa in senso ampio, come forza rigenerante) persino all’interno della notte più buia. Perché la vita ha sempre due polarità, non una.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittrice, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.

 

Ricordo che ero una bambina molto riflessiva. Ho iniziato a scrivere a 7 anni, perché era il modo più libero e più “vero” per esprimere la voce che avevo dentro. Le mie primissime poesie erano trascrizioni di canzoni che mi passavano per la testa. Da allora la musicalità del verso è sempre stata fondamentale per me. Di incontri significativi ne ho fatti diversi, ma forse il più importante avvenne a quattordici anni, quando conobbi, sempre per motivi legati alla poesia, un vecchio professore che, insieme a sua moglie, mi accolse come una persona di famiglia e mi accompagnò per lunghi anni nel mio percorso, sia umano che letterario. Si chiamava Salvatore Matarazzo. La prima raccolta “matura” è stata “Per ogni cosa incompiuta”, nel 2008, con una casa editrice ormai scomparsa. Tra gli ultimi libri menzionerei “L’arte di cadere” (Biblioteca dei Leoni, 2015), canzoniere amoroso, la cui pubblicazione fu all’epoca incoraggiata da Paolo Ruffilli; “Ti slegherai le trecce” (Coazinzola Press, 2017), rivisitazione della mitologia classica al femminile; “L’ultimo quarto del giorno” (La Vita Felice, 2018), scansione del tempo interiore; “Midbar” (Raffaelli Editore, 2019), rilettura di racconti e archetipi veterotestamentari; “Tropaion” (Puntoacapo Editrice, 2020), poetica del “polemos” esistenziale; “A grandezza naturale. 2008-2018” (Arcipelago Itaca, 2020), riproposta di vecchi testi e nuove riscritture; “Meccanica dei solidi” (Puntoacapo Editrice, 2021), piccolo pro-memoria sull’esistenza concreta del coraggio. Mi sono inoltre occupata della traduzione di Rainer Maria Rilke, in “Silenzio e tempesta. Poesie d’amore” (Marco Saya Edizioni, 2019), e di Edgar Allan Poe, le cui poesie mi auguro che possano uscire quest’anno.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

Per quanto riguarda il “materiale” (ovvero l’ispirazione), è naturalmente la vita stessa a offrirlo. Si tratta di esperienze vissute e rivisitate, oppure di riflessioni intorno a eventi e/o temi specifici. Circa l’elaborazione, i tempi variano. A volte occorre una maggiore sedimentazione. Altre volte, l’urgenza di scrivere, nella sua immediatezza, dà buoni risultati. La regola è comunque: rileggere a distanza di settimane, per verificare se quanto si è espresso e il modo in cui lo si è espresso tiene.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi, se ci sono, con la tua scrittura?

Mi piacerebbe offrire uno scorcio sia inedito che familiare. Un po’ come dire: non c’è niente di nuovo sotto il sole, ma ciò che è “vecchio” può essere vissuto in modo sempre nuovo.  Sarei felice se la mia scrittura riuscisse a riprodurre questo duplice movimento che, a mio parere, è benefico, nell’incontro con il mondo (e con noi stessi): dapprima un passo indietro, per diventare “estranei” a ciò che si crede noto (o addirittura scontato), e poi un passo avanti, per accogliere l’alterità, senza cancellarne il mistero.

 

 

Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Vorrei che fossero i lettori a rispondere a questa domanda.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato un’evoluzione nella tua scrittura?

 

Non penso di avere “ossessioni”. Mi piace scrivere su tutto ciò che mi colpisce. La varietà di quello che ho pubblicato finora credo lo dimostri. Non saprei giudicare con precisione l’evoluzione della mia scrittura. Forse col tempo ha abbracciato temi più ampi, più diversificati rispetto all’inizio, ovvero rispetto alla poesia esclusivamente lirica. Ma continuo a considerare importanti alcuni aspetti: la musicalità, la densità, lo spazio che la parola-immagine apre senza rinunciare a un pensiero sottostante.

 

 

Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Poesia, scrivi anche in prosa? Se no, pensi che proverai?

 

Nonostante abbia appena pubblicato un libro di mini racconti (“Next Stop. Racconti tra due fermate”, Fara Editore 2021) come raccolta prima classificata nel premio Narrapoetando 2021, confesso che si tratta di materiale appartenente alla mia giovinezza, limato di recente per l’occasione; non penso che avrà un seguito. Rimarrà un “unicum”. La poesia è il mio canale preferenziale. Al momento non sento la necessità di trovarne altri.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

Come dicevo all’inizio, ho vissuto in paesi, contesti e ambienti molto diversi. Credo che ogni luogo lasci in noi una traccia. Forse la Toscana mi ha lasciato il gusto irrinunciabile della bellezza, l’esigenza di chiamare le cose con il loro nome, una certa allergia alla sovrabbondanza di elementi e alla teatralità.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

In senso ampio (non letterario), la realtà esiste e non è semplice frutto dell’immaginazione. Altrimenti, esisterebbero tante realtà quante persone esistono al mondo. Tuttavia, la realtà non è un oggetto osservabile, e tanto meno è osservabile da un unico lato. La realtà è un insieme composito di tutto ciò che è esperito. In questo insieme non c’è solo l’evento in sé, ma anche il sentimento, l’intuizione, il pensiero, la memoria. Pertanto l’esperito, che costituisce la realtà, pur inscrivendosi in un tempo preciso, scavalca questo tempo, essendo continuamente esposto all’interpretazione, ovvero alla ricerca di un senso. Un senso che non necessariamente cristallizza la realtà, ma che ne permette il rinnovato dischiudersi nelle sue potenzialità. In tale processo, anche l’immaginazione svolge il suo ruolo. L’immaginazione è uno dei ponti gettati sul reale: non è né il polo opposto della realtà, né la sua matrice. Si tratta piuttosto di un circolo virtuoso: la realtà alimenta l’immaginazione e l’immaginazione è uno degli strumenti per interpretare la realtà. Nel caso specifico della letteratura, il discorso è un po’ diverso: l’immaginazione, che si nutre del vissuto dell’autore, crea la realtà della scrittura. Grazie all’immaginazione, la scrittura diventa una realtà nel mezzo delle altre realtà. Tanto più vera quanto indagatrice onesta del senso profondo delle cose.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Ho amici (e quando dico amici mi riferisco a persone che mi conoscono davvero, frequentandomi) che mi leggono, altri che non lo fanno perché la poesia è un linguaggio a loro estraneo. Poi ci sono poeti che si sono avvicinati alla mia scrittura perché uniti dagli stessi interessi. Naturalmente spero (come spera ogni autore) che facciano parte dei miei lettori anche sconosciuti che hanno trovato spunti e risonanze tra i miei versi.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Sono d’accordo. Si tratta quasi sempre di offrire una messa a fuoco. Tra lettore e autore deve esserci un terreno comune che permetta il riconoscimento. A volte, però, se il lettore è pronto a mettersi in discussione, può avvenire anche un sovvertimento, uno squarcio che rivela qualcosa di totalmente “altro”, che scaraventa il lettore fuori da sé, e solo in un secondo tempo lo riconduce al suo interno.

 

 

Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici? Hai scritto recensioni di opere di altri autori?

 

Dico subito che non sono una critica, né ambisco ad esserlo. Posso permettermi di leggere quello che mi piace, in veste di semplice fruitrice. Se parlo di opere altrui (mi è capitato), ne sottolineo gli aspetti per me interessanti, che possono variare, e che non sono necessariamente presenti allo stesso livello: qualità letteraria (almeno ciò che io percepisco come tale), intenzione dietro la scrittura, tema trattato. Personalmente, sono attratta da scritture che, oltre all’originalità e alla cura della forma (senza ovvietà e toni teatrali, ma anche senza artifici ed espressioni cervellotiche), aprano spazi, lascino corso alla libertà e alla suggestione, ma facciano anche trasparire un pensiero, un’unità articolata, ovvero non si perdano per strada, con la scusa che in poesia tutto è ammesso.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

Quella “facciale” di mia figlia, quando, leggendo una mia poesia, per la prima volta non ha storto il naso o alzato le sopracciglia.

 

 

C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?

 

Sì. Quando ero adolescente mi è stato suggerito di prosciugare la mia scrittura, tentando di concentrarmi sull’essenziale. Da adulta, mi è stato consigliato il contrario, di non eccedere nella “sintesi”. Immagino che per me la sfida sia tuttora trovare un giusto equilibrio.

 

 

A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?

 

Attualmente sto lavorando a una silloge poetica, di cui fanno parte i testi inediti inviati al premio Il Giardino di Babuk. Quest’anno dovrebbero uscire una raccolta interamente dedicata ai miei figli, in occasione del mio cinquantesimo compleanno, e un libro di versi di Edgar Allan Poe, che ho tradotto per riproporlo nella sua veste meno nota di poeta.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Un’altra mia passione è l’arte, e più precisamente l’iconografia/iconologia, con un interesse particolare per i primi secoli, che segnano il passaggio dall’immaginario pagano a quello cristiano, con una ripresa formale di motivi figurativi che si sono poi arricchiti, nel corso del tempo, di nuovi contenuti. Spesso, dietro immagini che abbiamo continuamente sotto gli occhi e che diamo per scontate, è possibile scoprire un intreccio di rimandi e di significati del tutto inatteso.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

Non sono un’esperta nel campo. Mi pare però che il mezzo digitale e la rete abbiano permesso una diffusione della poesia che sarebbe altrimenti rimasta relegata a scaffali introvabili. Via web ho scovato scritture in cui sarebbe stato difficile imbattermi in forma cartacea. Il prezzo da pagare per questa maggiore (e positiva) capillarità è naturalmente un certo sovraffollamento, senza distinzioni di qualità e di sostanza. Cosa dire? Leggere molto, di tutto, ma non temere di essere selettivi nei propri gusti.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Quest’intervista è forse la più lunga che mi sia mai capitata! E sono davvero grata per l’opportunità offertami di esprimermi su aspetti così disparati. Sono anche grata per la cura e per le energie di chi sta dietro all’organizzazione de Il Giardino di Babuk e de LaRecherche.it Non ho dunque altro da aggiungere, se non la speranza che qualche lettore ce l’abbia fatta ad arrivare fino in fondo alle mie risposte…

 

 

Grazie. Raffaela.

 


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