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Le avventure del signor Fine Palanca: L’appuntamento

di Francesco Verducci
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Pubblicato il 25/04/2015 23:06:33

L'appuntamento

 

Era un giorno di primavera e il Palanca, con il (?), uno dei suoi amici più intimi, si stava recando, con la lussuosa automobile dell’amico a un convegno in uno dei locali alla moda. Ovviamente, trattandosi di due personaggi dediti ai vizi , il convegno non era altro che un incontro programmato con due signore dell’alta società che, essendo i mariti costantemente impegnati in questione di affari per poter permettere a loro e alle mogli una vita molto agiata, vivevano in una sorta di languida solitudine e ne erano stanche e annoiate. Pertanto decisero, essendo amiche intime sia spiritualmente che in altro modo, di evadere proponendosi su una rivista per uomini – ovviamente sotto falso nome e foto truccate.

 

Strada facendo non fecero altro che parlare del pomeriggio che avrebbero passato con le due donne, che dalle foto sembravano all’altezza delle loro aspettative. Non era la prima volta che i due andavano ad appuntamenti simili. Di solito il Palanca era eccitatissimo come un adolescente al suo primo appuntamento a causa del digiuno che gli imponeva la moglie. L’amico lo sapeva e lo stuzzicava, rendendolo ancor più eccitato, perché sapeva per esperienza che così avrebbe dato il meglio di se; in particolar modo nei preliminari di cui l’amico era abbastanza carente.

Arrivarono a destinazione in anticipo d’un quarto d’ora, parcheggiarono poco distante e chiesero alla reception se le signore x e y fossero arrivate. Il receptionista – un tipo allampanato e bianco come il latte che conoscevano benissimo e di cui erano in combutta – rispose che si, erano arrivate e li aspettavano nel solito separé in fondo alla sala lettura, che era il posto più appartato del club – in realtà non era affatto una sala di lettura ma, a tutti gli affetti, una sala di appuntamento. C’erano si degli scaffali tutt’intorno alle pareti ricolmi di libri - che qualche bontempone nonché guardone, prendeva e fingeva di leggere mentre guardava i giochi delle coppie - ma servivano solo a mascherare il vero utilizzo della sala. I due entrarono e si diressero sicuri al separé dove si trovavano le signore, tutte due agghindate per l’occasione; sedute una di fronte all’altra chiacchieravano tranquillamente del più e del meno.

 

Come esse videro i due giovanotti si alzarono – il fatto di alzarsi forse contraddice l’aspetto cavalleresco dell’incontro, ma essendo un appuntamento di tutt’altro genere che cavalleresco, è da ritenersi ovvio poiché le due signore dovevano, nel rispetto di un rituale antico, innanzi tutto presentare se stesse nelle loro forme – e salutarono i due che, ovviamente riconobbero anch’esse dalle foto che i due, attraverso la rivista, mandarono loro. I due gentiluomini si presentarono con tanto di inchino e baciamano e, contemporaneamente, senza darlo a vedere perché sarebbe stato sconvenente, osservarono attentamente le signore per verificare di non aver preso un granchio con le foto; bisogna dire che rimasero senza fiato poiché le due, pur essendo mature, si presentavano nel corpo ancora all’altezza della situazione.

 

Una, di pelle chiara e capelli biondi e voluminosi, presentava un volto ancora giovanile con incastonati due occhioni tondi e azzurri come il cielo di primavera dopo un temporale. Il corpo, stretto ai fianchi da una gonna che copriva appena le cosce, era snello e flessuoso. Il seno, generoso, prorompeva da una camicetta stretta che lasciava libero un decolté da capogiro. Le gambe, lunghe e ben tornite da gazzella. “Cacchio” pensò il Palanca “ho proprio fatto una buona scelta”,  e la sua bocca si allargò in un sorriso a trecentosessanta gradi mentre si inchinava e baciava la mano che la signora gli porgeva.

L’altra, di pelle un po’ più scura - “deve fare le lampade” pensò l’amico che aveva già capito come si sarebbero formate le coppie -, capelli neri corvini stirati lunghi sulle spalle, aveva un viso tondo quasi infantile con due occhi castani che sembravano, anche a causa del trucco, quelli di una gatta. Anch’ella aveva il corpo snello e flessuoso dentro la gonna lunga fin sotto le ginocchia e stretta per presentare le curve nel modo adeguato. Pure il seno, al pari dell’amica, era generoso, ma non prorompeva da nessuna camicetta che anzi sembrava prigioniero, stretto com’era in un corpetto, che però era trasparente e lasciava intravvedere il decolté anch’esso da capogiro. Da quanto si poteva capire dalla gonna stretta, anche le sue gambe erano lunghe e snelle. “ Bene” pensò l’amico “credo che dietro l’apparente timidezza ci sia una tigre pronta a sbranarmi”, e anche a lui gli si spalancò la bocca in un sorriso a trecentosessanta gradi mentre si inchinava e baciava la mano che ella gli porgeva. Ovviamente, essendo buona norma in codeste situazioni, non si presentarono con i nomi.   

 

I due fecero accomodare le signore e si sedettero a loro volta di fianco, ognuno alla signora a cui aveva baciato la mano senza più proferir parola poiché, di norma, prima si doveva ordinare lo champagne, brindare per rilassarsi e poi, finiti tutti i convenevoli, si poteva iniziare una qualsiasi discussione per rompere il ghiaccio.

Fu l’amico a interessarsi della questione e in men che non si dica arrivò il cameriere che servì i quattro, aspettò che, come era consuetudine tra i due, il Palanca facesse l’assaggio per verificare la qualità del prodotto, e la mancia - compito questo, com’è ovvio dato la condizione economica del Palanca, spettò all’amico e che, a dire il vero, non fu tanto generosa poiché, pur essendo di famiglia benestante, personalmente disponeva solo di una piccola somma mensile erogatagli dal padre a causa della sua tendenza a scialacquare le palanche -, consuetudine questa del locale, e se ne andò. Bisogna dire che il Palanca era, a tutti gli effetti, un attore; non sapeva niente di vino, spumante e champagne, ma era in grado, data la sua frequentazione assidua dei locali alla moda e la sua innata curiosità, di imitare alla perfezione i sommelier.

 

Finiti i convenevoli di cui sopra, si passò al brindisi a cui toccò al Palanca, che come detto pocanzi sapeva recitare, formulare un qualsiasi discorsetto, che però doveva essere inerente al tema dell’incontro.

«Mie carissime Signore» incominciò facendo un inchino profondo andando a sfiorare il tavolo del separé ma, con fare incurante del rischio che aveva corso di sbattere la testa, continuò «e a te mio carissimo amico» rivolgendosi all’amico «voglio, in questo frangente, brindare alla buona riuscita, cosa di cui ne sono convintissimo, di questo incontro a quattro…

Continua


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