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Le avventure del signor Fine Palanca: L’appuntamento
L'appuntamento Era un giorno di primavera e il Palanca, con il (?), uno dei suoi amici più intimi, si stava recando, con la lussuosa automobile dell’amico a un convegno in uno dei locali alla moda. Ovviamente, trattandosi di due personaggi dediti ai vizi , il convegno non era altro che un incontro programmato con due signore dell’alta società che, essendo i mariti costantemente impegnati in questione di affari per poter permettere a loro e alle mogli una vita molto agiata, vivevano in una sorta di languida solitudine e ne erano stanche e annoiate. Pertanto decisero, essendo amiche intime sia spiritualmente che in altro modo, di evadere proponendosi su una rivista per uomini – ovviamente sotto falso nome e foto truccate. Strada facendo non fecero altro che parlare del pomeriggio che avrebbero passato con le due donne, che dalle foto sembravano all’altezza delle loro aspettative. Non era la prima volta che i due andavano ad appuntamenti simili. Di solito il Palanca era eccitatissimo come un adolescente al suo primo appuntamento a causa del digiuno che gli imponeva la moglie. L’amico lo sapeva e lo stuzzicava, rendendolo ancor più eccitato, perché sapeva per esperienza che così avrebbe dato il meglio di se; in particolar modo nei preliminari di cui l’amico era abbastanza carente. Arrivarono a destinazione in anticipo d’un quarto d’ora, parcheggiarono poco distante e chiesero alla reception se le signore x e y fossero arrivate. Il receptionista – un tipo allampanato e bianco come il latte che conoscevano benissimo e di cui erano in combutta – rispose che si, erano arrivate e li aspettavano nel solito separé in fondo alla sala lettura, che era il posto più appartato del club – in realtà non era affatto una sala di lettura ma, a tutti gli affetti, una sala di appuntamento. C’erano si degli scaffali tutt’intorno alle pareti ricolmi di libri - che qualche bontempone nonché guardone, prendeva e fingeva di leggere mentre guardava i giochi delle coppie - ma servivano solo a mascherare il vero utilizzo della sala. I due entrarono e si diressero sicuri al separé dove si trovavano le signore, tutte due agghindate per l’occasione; sedute una di fronte all’altra chiacchieravano tranquillamente del più e del meno. Come esse videro i due giovanotti si alzarono – il fatto di alzarsi forse contraddice l’aspetto cavalleresco dell’incontro, ma essendo un appuntamento di tutt’altro genere che cavalleresco, è da ritenersi ovvio poiché le due signore dovevano, nel rispetto di un rituale antico, innanzi tutto presentare se stesse nelle loro forme – e salutarono i due che, ovviamente riconobbero anch’esse dalle foto che i due, attraverso la rivista, mandarono loro. I due gentiluomini si presentarono con tanto di inchino e baciamano e, contemporaneamente, senza darlo a vedere perché sarebbe stato sconvenente, osservarono attentamente le signore per verificare di non aver preso un granchio con le foto; bisogna dire che rimasero senza fiato poiché le due, pur essendo mature, si presentavano nel corpo ancora all’altezza della situazione. Una, di pelle chiara e capelli biondi e voluminosi, presentava un volto ancora giovanile con incastonati due occhioni tondi e azzurri come il cielo di primavera dopo un temporale. Il corpo, stretto ai fianchi da una gonna che copriva appena le cosce, era snello e flessuoso. Il seno, generoso, prorompeva da una camicetta stretta che lasciava libero un decolté da capogiro. Le gambe, lunghe e ben tornite da gazzella. “Cacchio” pensò il Palanca “ho proprio fatto una buona scelta”, e la sua bocca si allargò in un sorriso a trecentosessanta gradi mentre si inchinava e baciava la mano che la signora gli porgeva. L’altra, di pelle un po’ più scura - “deve fare le lampade” pensò l’amico che aveva già capito come si sarebbero formate le coppie -, capelli neri corvini stirati lunghi sulle spalle, aveva un viso tondo quasi infantile con due occhi castani che sembravano, anche a causa del trucco, quelli di una gatta. Anch’ella aveva il corpo snello e flessuoso dentro la gonna lunga fin sotto le ginocchia e stretta per presentare le curve nel modo adeguato. Pure il seno, al pari dell’amica, era generoso, ma non prorompeva da nessuna camicetta che anzi sembrava prigioniero, stretto com’era in un corpetto, che però era trasparente e lasciava intravvedere il decolté anch’esso da capogiro. Da quanto si poteva capire dalla gonna stretta, anche le sue gambe erano lunghe e snelle. “ Bene” pensò l’amico “credo che dietro l’apparente timidezza ci sia una tigre pronta a sbranarmi”, e anche a lui gli si spalancò la bocca in un sorriso a trecentosessanta gradi mentre si inchinava e baciava la mano che ella gli porgeva. Ovviamente, essendo buona norma in codeste situazioni, non si presentarono con i nomi. I due fecero accomodare le signore e si sedettero a loro volta di fianco, ognuno alla signora a cui aveva baciato la mano senza più proferir parola poiché, di norma, prima si doveva ordinare lo champagne, brindare per rilassarsi e poi, finiti tutti i convenevoli, si poteva iniziare una qualsiasi discussione per rompere il ghiaccio. Fu l’amico a interessarsi della questione e in men che non si dica arrivò il cameriere che servì i quattro, aspettò che, come era consuetudine tra i due, il Palanca facesse l’assaggio per verificare la qualità del prodotto, e la mancia - compito questo, com’è ovvio dato la condizione economica del Palanca, spettò all’amico e che, a dire il vero, non fu tanto generosa poiché, pur essendo di famiglia benestante, personalmente disponeva solo di una piccola somma mensile erogatagli dal padre a causa della sua tendenza a scialacquare le palanche -, consuetudine questa del locale, e se ne andò. Bisogna dire che il Palanca era, a tutti gli effetti, un attore; non sapeva niente di vino, spumante e champagne, ma era in grado, data la sua frequentazione assidua dei locali alla moda e la sua innata curiosità, di imitare alla perfezione i sommelier. Finiti i convenevoli di cui sopra, si passò al brindisi a cui toccò al Palanca, che come detto pocanzi sapeva recitare, formulare un qualsiasi discorsetto, che però doveva essere inerente al tema dell’incontro. «Mie carissime Signore» incominciò facendo un inchino profondo andando a sfiorare il tavolo del separé ma, con fare incurante del rischio che aveva corso di sbattere la testa, continuò «e a te mio carissimo amico» rivolgendosi all’amico «voglio, in questo frangente, brindare alla buona riuscita, cosa di cui ne sono convintissimo, di questo incontro a quattro… Continua
Id: 2770 Data: 25/04/2015 23:06:33
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Le avventure del signor Fine Palanca: Prologo
Prologo Il signor Fine Palanca era un omone grande e grosso di almeno un quintale distribuiti abbastanza bene sui suoi 2 metri. Egli era avvezzo alla frequentazione di club esclusivi, costosi e di dubbia moralità – tanto per intenderci, il nostro signor Palanca non disdegnava la frequentazione di donne libere da ogni sorta di moralità che anzi era per lui, scapolo, il modo per soddisfare le sue esigenze sessuali. Dunque, il signor Fino Palanca doveva disporre di un consistente gruzzolo di palanche per far fronte al suo piccolo vizietto, cosa che, in realtà, era dubbia; il signor Fino Palanca non aveva neanche una palanca che anzi era addirittura - a causa della morte della moglie - senza una palanca. Disponeva si di un piccolo vitalizio - lascito generoso della sua defunta moglie che in vita lo teneva al guinzaglio come un cagnolino a causa della sua tendenza, alquanto discutibile, a scialacquare il suo e l’altrui danaro - che gli permetteva di tirare avanti – ciò significava avere un tugurio dove dormire, un pasto al giorno e qualche straccio da indossare solitamente grazie a quei gruppi umanitari che infestavano la periferia delle grandi metropoli. Ma questo non bastava certo a giustificare i suoi vizi. Riguardo alla morte della povera signora – una donna ,che pur venendo da un ambiente benestante era, nell’aspetto, insignificante a causa della sua riluttanza a curare le apparenze del corpo, cosa che l’avrebbe resa tutt’altra donna dato le sue potenzialità fisiche. Era ella una donna medio alta e dalle forme rotonde quel tanto che basta a modellare alla perfezione le sue curve slanciate; aveva seni generosi e sodi, gambe lunghe e ben tornite, fianchi larghi e vita stretta (questa descrizione “intima” della consorte è il frutto dei racconti del consorte fatti ai suoi amici) -, avvenuta in circostanze mai chiarite, il Palanca fu interrogato per mesi nella convinzione dei magistrati che fosse lui il colpevole, essendo il primo ad avere il movente più significativo, ovvero, essere l’ereditario degli averi della moglie; le palanche, di cui la signora disponeva in quantità cospicua. Indagine che alla fine risultò illusoria dato che la signora, prevedendo una sua prematura fine per mano del consorte – cosa questa emersa nell’interrogatorio dell’amica del cuore che ne ebbe conoscenza proprio dalla signora Palanca stessa -, redasse un testamento ove si diceva che, in caso di morte violenta o comunque dubbia, tutto il suo avere doveva essere dato in beneficenza, salvo una piccola rendita al consorte, ai gruppi umanitari di cui lei fu promotrice. E così fu. Questo convinse i magistrati a lasciar perdere la pista del consorte che, così poté tornare alla sua solita vita. Palanca aveva però, in vita sua, coltivato molte amicizie proprio nell’ambiente della consorte; amicizie che dopo la morte della moglie, gli procurarono aiuti non indifferenti. Uno di questi aiuti fu proprio la possibilità di accedere ai favori delle signore di alcuni dei club esclusivi. Ovviamente, per poter frequentare detti club aveva bisogno anche di vestiti idonei, anche questi gli furono procurati dagli amici. Per il resto, il Palanca si arrangiava con quello che riusciva a trovare dai gruppi umanitari. Si possono raccontare molti aneddoti sulla vita del Palanca, ma mi limiterò qui a raccontarne uno che lo coinvolse in una situazione, che lui stesso definì tragicomica, quando la consorte era ancora in vita.
Id: 2762 Data: 21/04/2015 14:12:24
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Mi ami amore?
Mi ami amore? mi chiede si amore, ti amo perché? perché cosa? perché mi ami, stupido! - pizzicotto sul braccio - bah, non saprei come non saprei! - altro pizzicotto - beh, ti amo e basta! mah, dice lei languida, se mi ami ci sarà un motivo, almeno credo - un piccolo puffo sulla guancia - beh, veramente ti amo perché quando non ci sei mi manchi oh, veramente!? non l’avrei mai pensato - un bacio sulla guancia - come non l’avresti mai pensato?! chiedo beh, sai, da tanto che viviamo insieme che avrei giurato che lo stare insieme era un’abitudine e, si sa, con l’abitudine non ci si accorge delle persone e cose che ci circondano vuoi dire che dovrei vederti come un sopra mobile? - un leggero diretto sul fianco , quasi una carezza - hai, fingo di lamentarmi ma va stupido, voglio dire che col tempo si diventa abitudinari e, sai, ci si rammollisce un po’. ah! è questo che pensi, che mi sia rammollito nooooooooooo, è quasi un ringhio seguito da un morsetto al naso ma l’hai detto tu che mi sono rammollito, dico lamentandomi questa volta il colpo arriva al basso ventre e abbastanza forte cosa fai, sei impazzita? dico gentile la devi smettere di prendermi in giro, risponde sorridendo e chi ti prende in giro? dimmelo che lo aggiusto io vedi? l’hai fatto ancora cos’ho fatto ancora? m’ai preso in giro e continui a farlo a questo punto incomincia a pizzicarmi sulla pancia scatto come una molla per evitarlo, ma lei mi blocca le gambe con le sue non posso più muovermi e, allora, incomincio a ridere per il solletico lei insiste perché sa che mi da un fastidio da matti sia il solletico che ridere mi contorco nel tentativo di limitare il fastidio lei insiste cedo, la imploro di smettere insiste imploro di nuovo e giuro che non la prenderò più in giro sorride trionfante e lascia la presa sei una torturatrice, dico così impari, dice con gentilezza eh, già, dico, altro che gentil sesso perché, hai qualcosa contro il gentil sesso? io! ma figuriamoci, se non ci fosse, bisognerebbe invenarlo ah! l’hai capito finalmente Eh si, però sarebbe opportuno che lo vendessero al supermercato un attimo di esitazione, sguardo finto truce poi piomba su di me come una bomba - pizzicotti e pugnetti un po’ ovunque- spero che si dimentichi della pancia, penso macché, ricomincia con la tortura e va avanti per un bel po’ rido a crepapelle incapace di trattenermi, mi duole perfino lo stomaco ma questa volta non imploro, so che lo fa non per quello che ho detto che sa essere una battuta ma per la promessa non mantenuta di non prenderla più in giro continua riesco a sfuggirle mi rincorre per la stanza mentre io non riesco a controllare la risata poi si calma prendo fiato aspetta la mia completa ripresa vedi, l’hai rifatto ancora bah, che c’è di male? niente come niente, quasi mi fai morire dal ridere e allora, ne vendono tanti al supermercato.
Id: 1486 Data: 12/05/2012 17:28:18
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Lievi le mie mani ...
Lievi le mie mani sulla tua pelle ascoltano, nel buio della notte, la musica dolce che dalle pieghe del silenzio si dipana Ascolto sognando mondi impossibili, da te per me costruiti, nell’armonia d’un pensiero allegro e sereno, profondo e leggero, che mai lascia spazio alla banalità. Ascolto! e mi lascio trascinare. Adagiato accanto al tuo lento respiro che lieve ottenebra la mente mia dilatando il tempo nel sogno che muta l’immobile mio desiderio fluttuando, per nulla m’accorgo del tempo che, dilatato dal sogno, s’annulla nello spazio infinito.
Attendo allora, ed è nell’attesa che avverto la necessità della tua vicinanza, della tua presenza nella mia vita. Del calore che infondi con la tua allegria. Della serenità che mi trasmetti. Del consenso che ad ogni mio pensiero esprimi senza riserve pur mantenendo saldi i tuoi. E la mia mente si fonde con la tua. E i corpi s’incontrano nella nuova luce che s’esprime dal buio della notte che s’annulla. Ed è li, in quel frangente di attimo che si perde il senso dell’essere materiale. E’ li, ove il tempo si fonde nell’eterno divenire, che s’incrociano per sempre le nostre vite. E i mondi sognati svaniscono nella nuova realtà. E le mani a nulla più servono sulla tua pelle, e il silenzio s’apre, che la musica si dipana dalla nostra mente. Nulla più serve a rendere armonico il nostro stare uniti che noi stessi avvinti come l’aria al mondo.
Id: 1481 Data: 07/05/2012 17:04:55
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Sogno di primavera.
1
Sola, distesa sul prato, avvolta nel sentore d’erba appena tagliata, la tua candida pelle, al sole, come antica dea silente, mostri, incurante d’eventuali occhi indiscreti. Freme il tuo corpo al tocco leggero dei tiepidi raggi; di desideri inespressi è ricolmo. E’ la primavera che chiama, solerte, le figlie dell’amore all’alcova che, natura, sempre per loro prepara. E’ il magico momento del risveglio dal freddo tocco invernale che, tanto torpore in te ha infuso. E godi della carezza del vento che, lieve, massaggia la tenera pelle.
Ti lasci andare! Le tensioni accumulate rilasci.
Finalmente libero, il pensiero esplode oltre i confini dell’orizzonte che si espande, ora, a dismisura, donando al corpo l’immenso universo. T’innalzi, all’ora, nel limpido cielo e, come aquila, libera voli librandoti nell’aria di profumi ricolma.
2
Ora sei sospesa corpo fluttuante la mente leggera il volto splendente. Ormai è primavera! finita è l’attesa del tempo remoto; ove desiderio dai gorghi fluiva in lidi perduti. Ora, dei sentori della primavera vestita, t’involi nell’alte, aeree, sfere del pensiero sublime. E nessuno, dal mondo di sotto, a rubarti verrà la tua primavera.
Id: 1459 Data: 17/04/2012 17:12:26
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Lamico M. e il lavoro
Erano le 7,30 quando uscii di casa e il sole già inondava lo spazio lasciando nell’aria il tepore tipico di marzo. Mi ero svegliato presto a causa dei dolori alla schiena, che ormai da un anno mi assillano, causati da un’ernia al disco. Fatta colazione, decisi di uscire a respirare un po’ d’aria fresca senza una meta precisa sapendo, comunque, che la sosta al bar per un caffè e lettura dei giornali sarebbe stata la prima meta a cui, ormai da anni, non so rinunciare. M’incamminai dunque. L’aria, come previsto, era ancora frizzante e la giacca leggera mi fu d’aiuto. Coprii in breve tempo le poche centinaia di metri che separano casa mia dal bar e mi rifugiai dentro. Il bar era già pieno dei primi avventori per il caffè o cappuccino prima di recarsi al lavoro. Ordinai alla barista il solito caffè e, preso il giornale, mi sedetti nella saletta per fumatori, ancora vuota a quell’ora; di solito si riempie dopo le otto quando arrivano i pensionati e gli operai dei turni. Nell’attesa del caffè incominciai a sfogliare il giornale leggendo i titoli e poche righe degli articoli che più attraevano la mia curiosità. Quando la cameriera, di cui non faccio il nome perché potrebbe essere chiunque, mi pose il caffè davanti, smisi di leggere e me lo gustai a occhi chiusi assaporandolo in ogni sua espressione, dopo di che accesi una sigaretta e, anch’essa, l’assaporai fino all’ultimo tiro. Durante quello che per me è un rito a cui non so rinunciare, come mi succede sempre, mi assentai completamente dalla realtà al punto di non accorgermi dell’entrata nella saletta d’un mio amico, e del suo saluto. Solo dopo aver spento la sigaretta notai la sua presenza. - Ci sei? chiese M. mentre sorseggiava il caffè. - Ciao - risposi - si, ci sono. Scusa se non ti ho salutato subito, ma ero impegnato a gustarmi la prima sigaretta e non t’ho neanche visto entrare. - Niente - disse M. - Che c’è di nuovo? - chiese poi. - Oh, le solite cose sai. Le solite liti tra politici e qualche omicidio qui e la in giro per l’Italia. - Risposi rimanendo sul vago. E tu che mi racconti? Niente lavoro oggi? - Purtroppo oggi no! e neanche domani e dopo domani e … Rispose l’amico con la faccia alquanto truce. - Come, sei stato licenziato? - Si. Lo disse quasi avesse vergogna. Quasi fosse una colpa l’essere stato licenziato. - Scusa ma non capisco. Non eri stato assunto a tempo indeterminato? Dissi io. ma conoscevo già la risposta. Mario mi guardò e dal suo volto traspariva rabbia e delusione. Poi disse - si, dopo l’apprendistato, sei mesi fa, mi confermarono il posto fisso, ieri, con la scusa del calo di lavoro, il licenziamento. Ma non sono l’unico, con me ne hanno licenziati altri 15; cinque come me e dieci anziani. Operai che lavorano li da decenni e che ora, a cinquanta cinquantacinque anni suonati, si ritrovano sulla strada. E non credere che troveranno lavoro facilmente. Ha quell’età, al massimo, si può fare qualche lavoretto da precari. Si fermò un attimo a tirare fiato e poi riprese - In effetti, per quanto riguarda me e i cinque, è stato solo un giochetto per ottenere i soldi dal governo. Per gli altri dieci, un alleggerimento di personale troppo vecchio per sostenere i ritmi imposti. E poi, va anche detto che riassumeranno giovani come apprendisti perché più disponibili nella speranza d’essere confermati al posto fisso per poi ripetere il giochetto. - Già - dissi - con la cosiddetta riforma del lavoro hanno dato mano libera agli imprenditori sui licenziamenti. Ma - ripresi - i sindacati che dicono? Se non sbaglio, dovresti avere 15 mesi di buona uscita e 12 mesi di 119.000 euro dallo stato. - Si - rispose - e dopo? Il problema non sono solo i soldi, che anzi e per fortuna, per quanto mi riguarda, non mi mancano dato che mia moglie lavora e col suo stipendio riusciamo a tirare avanti. Il problema più grosso è l’incertezza, l’impossibilità di poter programmare il futuro, in modo particolare quello dei figli. Prese fiato un attimo poi riprese - Ho trentacinque anni e ancora non sono riuscito a trovare un posto fisso, ti rendi conto che questa non è vita! Quasi aveva urlato nel dire l’ultima frase. Chinò il capo e disse - scusa, non ce l’ho con te, anzi …, ma quando una persona, e credimi, come me ce ne sono a decine di migliaia se non a centinaia di migliaia, non riesce a fare un minimo di programma perché viene continuamente sbattuto qua e la, su e giù per l’Italia, (si riferiva al continuo trasferimento a cui i senza lavoro fisso - ed erano la stragrande maggioranza perché, ormai, erano pochi i lavoratori che riuscivano a mantenere lo stesso posto per tutta la vita - erano costretti se volevano lavorare) tra licenziamenti e riassunzioni che non danno mai la certezza del posto e di un reddito fisso che, anzi, con la concorrenza che s’è creata tra noi lavoratori, anche gli stipendi sono progressivamente in calo. Disse tutto d’un fiato, con la faccia rossa di rabbia. Poi si calmò. Ma era evidente lo sforzo di mantenersi calmo. - Tutto questo - continuò con calma apparente - non può continuare all’infinito. Prima o poi succederà qualcosa d’irreparabile e, allora, possiamo anche dire addio al po’ di libertà rimasta.
Dalle sue parole traspariva una rabbia che ormai faceva fatica a contenere. Tanto più che era repressa da anni di incertezze e dall’impotenza di fronte al potere che non dava nessuna assicurazione ai cittadini. La rabbia era accentuata dalla piena coscienza che, lui stesso, contribuiva, col voto, a rigenerare il potere. Conoscevo benissimo la realtà che si era creata con la riforma. Riforma che, col passare degli anni, aveva dato origine a situazioni visibilmente disagiate tra i lavoratori. Tutto questo era stato giustificato con la necessità di far fronte alle esigenze di mercato nate con la globalizzazione.
Sospirai, cosa che facevo quando non avevo argomenti da ribattere alle argomentazioni dell’interlocutore. In questo caso, però, era l’effetto del disagio creatomi dalla situazione di M. che conoscevo da anni e sapevo gli sforzi fatti per inserirsi nel lavoro. M. era il tipo d’uomo che, trovandosi di fronte alla scelta di lavorare sodo per dare sicurezza alla famiglia anche con dieci dodici ore al giorno o protestare per i propri diritti, aveva, salvo casi particolari, sempre scelto il lavoro. Ma questo non era servito a nulla, Le scelte dei datori, evidentemente, seguivano percorsi diversi dall’impegno e capacità dei dipendenti quando si trattava di ridurre il personale. Ora, sembrava che M. si fosse accorto di questo e non era più disposto ad assecondare il datore in tutte le sue richieste e, questo, rendeva ancor più problematica la sua situazione.
M. vedendomi sospirare, per un attimo sembrò volesse aggiungere qualcosa che chiarisse il suo pensiero. Ma rinunciò limitandosi a sorridere e, tranquillo, come se volesse rassicurarmi, chiese di nuovo scusa per aver dato l’impressione d’avercela con me. - Non ti preoccupare - dissi - capisco benissimo i tuoi problemi e so, per esperienza, che le cose non durano in eterno. Mi spiace che persone serie e impegnate come te non abbiano il riconoscimento che meriterebbero, così come mi dispiace che, oggi come oggi, i lavoratori siano costretti a subire le manchevolezze del sistema.
Intanto, la saletta s’era riempita di persone che, chiacchierando tra loro, non avevano fatto caso al nostro discutere un po’ animato. M. si alzò, mi salutò sorridendo, e uscì dalla saletta. Io rimasi ancora il tempo per una sigaretta poi decisi di andarmene; in fondo, era una bella giornata e valeva la pena di godersela.
Id: 1437 Data: 27/03/2012 14:26:38
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