Le parole non sono le cose,
e dici la verità. Tuttavia
acquistano questo potere, selvatico,
e dal profondo dell’abse animale,
scalpicciando nella capanna di pace,
cavalco ogni bestia inondata di sangue,
e ognuna contiene il suo dio,
non un’idea,
qualcosa che crea irruzione, imminente,
che risponde al punto del cielo lontano:
sulla lingua migliaia di stelle
dilatano in gola l’inchiostro
nel seme, nell’urlo che viene. d’amore
l’immenso si fa sterminato
e in tutta la grazia lo annuncia, inevitabile
noi siamo dentro la camera, sacri, e gemelli
di sposi illuminati. Ecco la gemma,
che cerca la lingua in un punto, il suo latte,
e solo quello può essere, in terra del viso,
il più remoto e nascosto al pensiero,
una parola che ride, a morire nel gesto,
che oscilla col corpo per disegnare
facendo esercizi dentro il respiro
nella formula del sangue, se ti leggo,
mi siedo sulla tavola del pane
battendo coi talloni sulla sedia
a contare il tempo alla domenica, che manca,
per restituirti le mie dita umide nell’aria
indicando con un salto giù per terra,
dove ti aspettano e dove sei, altri segnali
se c’è un giacere, come chiamando,
è nella crescita pregressa,
nel tacito afferrarsi,
una piccolissima estensione nascitura
che tocca la parola e cambia il segno,
imprimendo al suo alfabeto un passo
che sposta gli occhi e danza, dove batte,
riportando il campo di una lacrima
alla gioia, da cui riparte un filo,
un’aria fresca dalla finestra
fin su alle chiome..
che sembrano qualcuno,
che accolto dentro si bagna, in questo solco,
poi.. si trasforma in luce, e ancora
precipita nella parola, proprio in cima,
adesso, è qui, nel mio respiro largo,
che sporge tutto fuori dal cuore
e va alla gioia.. va alla gioia
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